Diocesi Messaggi Omelie Vescovo

San Saturnino 2023. Messaggio dell’Arcivescovo alla città di Cagliari

San Saturnino 2023

Messaggio alla Città

Primi Vespri, Basilica di San Saturnino, 29 ottobre 2023

 

 

Gentili autorità civili, giudiziarie, accademiche e militari,

Fratelli e sorelle in Cristo,

la festa del nostro San Saturnino, patrono di questa cara Città di Cagliari, si svolge in un momento di grave tensione mondiale di natura politica e militare. Direi anche, e soprattutto, morale. Continua la guerra sanguinosa in Ucraina; si è accesa crudelmente, nella sostanziale indifferenza del mondo, il conflitto nel Nagorno-Karabakh, costringendo a un penoso esodo le persone di etnia armena che vivevano nella regione; proseguono le violenze in Yemen, Etiopia, Repubblica Democratica del Congo e in tanti altri luoghi del mondo ignorati o dimenticati dalla grande stampa. Da venti giorni, l’attenzione di tutti è polarizzata sulla Palestina, la nostra Terra Santa, accesa da un fuoco di morte e distruzione che non risparmia neanche i neonati nelle culle.

I. Venerdì scorso il Santo Padre Francesco ha parlato in termini gravi di questo frangente della storia: «È un’ora buia. Questa è un’ora buia, Madre» (A conclusione dell’ora di preghiera Pacem in terris, 27 ottobre 2023). È un’ora buia, lacerata dai conflitti, devastata dalle armi. Talvolta sembra che manchi anche la pietà per gli uomini, la cui morte è troppo rapidamente risolta nelle analisi contrapposte. Il cuore pare nascondersi dentro trincee politiche e ideologiche. Pochi giorni addietro, Le Monde ha pubblicato la lettera del Presidente del Forum internazionale per la pace e la riconciliazione del Medio-Oriente, il franco-israeliano Ofer Bronchtein, destinata a un amico palestinese: «La collera che evochi di fronte alla situazione del tuo popolo è legittima. Ma il tuo silenzio di fronte al dolore del mio è insopportabile… Il tuo silenzio risuona dolorosamente nel mio cuore» (23 ottobre 2023). Purtroppo, anche le piazze sembrano dividersi rivendicando la giustizia per un popolo e facendo silenzio sul dolore dell’altro. Ma il pianto di una mamma non è diverso tra gli ebrei e tra i palestinesi. È mai possibile denunciare la sofferenza di un popolo tacendo quello dell’altro, piangere la morte del bambino che appartiene ai “nostri” dimenticando quello che appartiene agli “altri”? Questa ora buia deve anzitutto essere illuminata dalla compassione, dalla pietà per gli uomini colpiti e uccisi, per i bambini privati di affetti, del futuro e della stessa vita. Serve una nuova partecipazione di pietà, di quella semplice e umana capacità di inorridire di fronte al male, di piangere con i feriti e le mamme, di gridare la necessità della pace per tutti. Può temersi che senza dare ascolto a questa elementare e originaria tensione morale, iscritta nell’intimo del cuore, restiamo anche noi prigionieri di logiche violente perché parziali.

Convocando l’ora di preghiera dello scorso 27 ottobre, papa Francesco ha gridato: «Tacciano le armi! Si ascolti il grido di pace dei popoli, della gente, dei bambini! … La guerra non risolve alcun problema, semina solo morte e distruzione, aumenta l’odio e moltiplica la vendetta. La guerra cancella il futuro. Esorto i credenti a prendere in questo conflitto una sola parte: quella della pace; ma non a parole, con la preghiera, con la dedizione totale» (Udienza generale, 18 ottobre 2023). San Saturnino, giovane morto a motivo della fede a seguito di un irrazionale oscuramento di massa, ci esorta a prendere una sola parte, quella della pace, della tutela della vita e della dignità degli uomini nonché della libertà dei popoli.

Sentiamo nostre le parole del Card. Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, per il quale la coscienza e il dovere morale impongono di affermare con chiarezza che quanto è avvenuto il 7 ottobre scorso nel sud di Israele, ad opera di Hamas, non è in alcun modo ammissibile e non può che essere condannato. «Non ci sono ragioni per una atrocità del genere». La stessa coscienza, tuttavia, porta ad affermare che le violenze che si stanno infliggendo a Gaza con migliaia di morti, decine di migliaia di feriti, quartieri rasi al suolo non sono comprensibili e «non faranno altro che aumentare odio e rancore, non risolveranno alcun problema, ma anzi ne creeranno dei nuovi» (Lettera a tutta la Diocesi, 24 ottobre 2023). E il Papa poche ore fa, da Piazza San Pietro: «A Gaza, in particolare, si lascino spazi per garantire gli aiuti umanitari e siano liberati subito gli ostaggi. Che nessuno abbandoni la possibilità di fermare le armi. Cessi il fuoco! … La guerra sempre è una sconfitta, sempre!» (Angelus, 29 ottobre 2023).

È ancora possibile fermare il fuoco. Serve in questo momento, scrive ancora il Cardinale Pizzaballa, il coraggio dell’amore e della pace: «Avere il coraggio dell’amore e della pace qui, oggi, significa non permettere che odio, vendetta, rabbia e dolore occupino tutto lo spazio del nostro cuore, dei nostri discorsi, del nostro pensare. Significa impegnarsi personalmente per la giustizia, essere capaci di affermare e denunciare la verità dolorosa delle ingiustizie e del male che ci circonda, senza però che questo inquini le nostre relazioni. Significa impegnarsi, essere convinti che valga ancora la pena di fare tutto il possibile per la pace, la giustizia, l’uguaglianza e la riconciliazione» (Ibid.). Il coraggio della pace porta a lottare per la giustizia e la libertà ma senza odio, nell’amore e nella verità, aprendo orizzonti di vita. Operare per la pace è il vero coraggio.

II. La nostra convinzione, che attingiamo dalla fede nel Signore Crocifisso e risorto, testimoniato dal giovane Saturnino, è che il mondo può cambiare. Non possiamo rassegnarci alla logica della violenza. Senza la speranza credibile sulla possibilità del cambiamento, il desiderio di un mondo nuovo, in particolare dei giovani, verrebbe privato della sua forza (perché la forza del desiderio è la speranza) e inevitabilmente si troverebbe bloccato, quasi imprigionato, nelle divisioni e contraddizioni del presente.

Siamo profondamente convinti che l’educazione dei giovani è la più potente forza di trasformazione del mondo, per la sua umanizzazione, per rompere i determinismi e fatalismi con cui si impone la logica dell’odio. Educare al senso della vita, all’apertura alla realtà, all’incontro con l’altro, alla responsabilità per la costruzione della convivenza e della società, ha il potere di trasformare il mondo. Ci crediamo. L’educazione è questione di amore per i giovani e di speranza nel cambiamento della storia. Come credenti attestiamo – come affermato nella Dichiarazione di Abu Dhabi firmata dal Santo Padre e dal Grande Imam di Al-Azhar il 4 febbraio 2019 – «l’importanza del risveglio del senso religioso e della necessità di rianimarlo nei cuori delle nuove generazioni, tramite l’educazione sana e l’adesione ai valori morali e ai giusti insegnamenti religiosi, per fronteggiare le tendenze individualistiche, egoistiche, conflittuali, il radicalismo e l’estremismo cieco in tutte le sue forme e manifestazioni». Il senso religioso è motivo di vera pace perché chi cerca davvero Dio non idolatra sé stesso e i propri beni, ma piuttosto cerca e afferma un Tutto capace di valorizzare ogni uomo, il proprio fratello.

Ogni cambiamento richiede un cammino educativo. Lo scorso anno, nella stessa circostanza, ricordavo che la Carta di Firenze, firmata da 60 vescovi e 65 sindaci del Mediterraneo, nel febbraio 2022, individua un privilegiato ambito di lavoro per la pace nella predisposizione di programmi educativi al fine di introdurre i giovani di tutta la regione mediterranea, a una migliore conoscenza e al rispetto delle tradizioni e delle particolarità culturali di ogni Paese.

La Conferenza Episcopale Italiana per questo ha dato vita a diverse iniziative nel corso dell’anno. Il 13 luglio scorso si è insediato a Firenze il Consiglio dei Giovani del Mediterraneo, nato per dar vita ad un percorso di fratellanza e di accoglienza reciproca tra le comunità, le Chiese e le persone appartenenti a religioni diverse, che abitano le sponde del Mare Nostrum, e che vede impegnati decine di giovani proveniente da 18 paesi (Italia, Francia, Spagna, Slovenia, Croazia, Albania, Bosnia, Montenegro, Grecia, Cipro, Malta, Turchia, Iraq, Siria, Libano, Terra Santa, Egitto, Algeria e Tunisia). Altri progetti sono stati realizzati in collaborazione con la Scuola per formatori Rondine di Arezzo, rivolto a mediatori, docenti, manager e professionisti, in grado di promuovere nei propri Paesi azioni e progetti finalizzati allo sviluppo e alla risoluzione dei conflitti.

Perché non anche a Cagliari? La Caritas diocesana ha organizzato l’XI edizione del Campo estivo internazionale dal titolo: “Orizzonti comuni”, al quale hanno partecipato centoquindici giovani di oltre venti nazionalità, tra cui Russia, Bielorussia e Ucraina, Israele, che hanno svolto non solo un intenso programma formativo ma si sono anche impegnati in azioni di volontariato in diversi servizi. Il servizio è infatti la forma educativa più efficace. Possiamo tentare di più. I diversi soggetti sociali e istituzionali di Cagliari, e in particolari quanti hanno responsabilità educative, possono ascoltare il grido di pace, di giustizia e fratellanza che sale dal Mediterraneo e trasformarlo in occasioni di conoscenza e confronto. Come a Firenze e Arezzo, Napoli e Bari, possiamo unire gli sforzi di tutti per tentare anche a Cagliari di realizzare occasioni di educazione reciproca, nella speranza di contribuire a superare le contrapposizioni, e costruire un tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna, almeno per quel che compete alla nostra responsabilità, per quel frammento che dipende dal nostro impegno.

III. Il tema dell’educazione riguarda propriamente anche la nostra realtà di Sardegna. Proprio 15 anni fa, Benedetto XVI rivolse alle migliaia di giovani radunati in Piazza Yenne una riflessione che conserva una grande attualità. Parlò della crisi di una società che inizia quando ai giovani non sa più tramandare la sua cultura e i valori fondamentali della propria identità, e indicò nella questione educativa l’urgenza decisiva dei nostri tempi. Ai genitori e formatori chiese di essere capaci di condividere quanto di buono e di vero essi hanno sperimentato in prima persona, mentre ai giovani chiese di essere interiormente aperti, curiosi di imparare e di riportare tutto alle originarie esigenze ed evidenze del cuore. L’educazione è questione di amore e di libertà: «Siate davvero liberi, ossia appassionati della verità».

La consegna che Benedetto XVI fece a Cagliari mi pare assai pertinente, oggi più di ieri. Sono manifesti i segni della nostra fatica a trasmettere ai ragazzi e ai giovani una potente fiducia nella vita, con il rischio di una rottura della solidarietà tra le generazioni. Quante violenze di giovani su altri giovani. La sofferenza di tanti di loro si ripercuote spesso contro sé stessi e il proprio corpo, nelle minacce contro la propria vita, nei comportamenti autolesivi, nei disturbi del comportamento alimentare e nel ritiro dalla scuola e dalla vita sociale. In Sardegna è molto alto, troppo alto, l’indice di dispersione scolastica, di disoccupazione giovanile e di giovani che non lavorano e non studiano (Neet). Si comprende che tanti ragazzi e giovani soffrono di ansia per l’incertezza in cui sentono avvolto il proprio futuro. Sono fatti che devono interrogarci profondamente, perché è in gioco la felicità e la vita dei nostri ragazzi.

Cresce, per tale ragione, la domanda di un’educazione autentica e l’esigenza di educatori autorevoli. Lo chiedono i genitori, preoccupati per il futuro dei propri figli, lo chiedono tanti insegnanti che vivono a contatto con la viva umanità degli alunni, lo chiede la società nel suo complesso. Nella Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona, nello scorso agosto, abbiamo potuto vedere una moltitudine mobilitarsi nella ricerca e contemplazione della fede, percepita nella sua bellezza e grandezza, nella intensità proposta e testimoniata dall’anziano Papa. La giovinezza è una grande ricchezza e ha bisogno di compagnie autorevoli e proposte alte.

La Chiesa di Cagliari intende aprire una rinnovata stagione di impegno educativo che coinvolga tutte le componenti della comunità ecclesiale e della società, per individuare proposte e azioni, alleanze e strumenti per contribuire alla formazione di giovani capaci di imparare dalla realtà, orientarsi nella vita, essere i protagonisti del futuro.

Mi pare giunto il momento di riprendere anche a Cagliari la grande intuizione di Papa Francesco di un Patto o Alleanza educativa (Global Compact on Education), perché tutti gli attori sociali della città possano considerare prioritari l’educazione e la formazione, e i giovani diventino costruttori e protagonisti diretti del bene comune. Occorre mettere in gioco un concetto di educazione che introduca al senso del reale, abbracci l’ampia gamma delle esperienze di vita e consenta ai giovani di sviluppare la loro personalità nel dialogo con gli altri. Serve rispettare e rafforzare il diritto primario delle famiglie a educare, e al tempo stesso promuovere il diritto della Chiesa e delle aggregazioni sociali, di collaborare con esse nell’educazione dei figli. Sarà nostra cura fare delle proposte.

Se non sappiamo testimoniare ai nostri giovani grandi ragioni di vita, allora è in gioco la solidità stessa del nostro futuro, come scriveva Hannah Arendt, filosofa ebrea tedesca che ha ben studiato le terribili vicende della Shoah: «L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo di esseri nuovi, di giovani. Nell’educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balia di sé stessi, tanto da non strappargli di mano la loro occasione d’intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa d’imprevedibile per noi; e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti» (Tra passato e futuro, Garzanti, Torino 1999 [orig. 1961], 255). Vogliamo educare perché amiamo i giovani e desideriamo rendere più umano il mondo.

San Saturnino ci testimonia che Cristo ha vinto il male del mondo, nel compiersi del suo amore per noi, sulla croce. Cari amici, anche noi, guardando la croce, vogliamo amare tanto gli uomini da volere, anche con le armi dell’educazione, cambiare il volto del mondo, almeno per quel poco che può dipendere da noi. E con tutto il cuore speriamo e preghiamo perché la fiamma del nostro amore – come canta un poeta – sia “controfuoco alla vampa / devastatrice del mondo” (Mario Luzi, Siamo qui per questo). La nostra carità sia controfuoco alla vampa dell’odio.

 

Condividi
Skip to content