Omelie Vescovo

Omelia del Vescovo per la Messa in Coena Domini 2023

Messa in Coena Domini

Cattedrale di Cagliari, 6 aprile 2023

“Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1).

È la notte oscura del tradimento e della consegna, della fuga e dell’abbandono; è l’ora del “potere delle tenebre” (Lc 22,53) e Gesù continua ad amare. Lo ha sempre fatto, è la ragione della sua esistenza e del mistero della sua persona umana e divina. Ha amato salvando da morte sicura e perdonando l’adultera, parlando con la donna samaritana presso il pozzo, toccando il lebbroso e sfamando le folle, insegnando, guarendo gli uomini dalle malattie e liberandoli dal dominio del demonio. Ha amato gli uomini concreti, soprattutto quelli sofferenti che chiedevano pietà. È il mistero profondo di quell’uomo venuto da Nazaret, un mistero vertiginoso: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). È difficile anche solo intuire la passione d’amore interna alla Trinità, che porta il Padre a consegnare il Figlio per la salvezza del mondo, perché noi non moriamo in eterno, e il Figlio a cercare gli uomini per riconsegnarli, salvati, all’abbraccio del Padre. E tutto questo nello Spirito Santo. Tutto ciò che Gesù di Nazaret ha realizzato in opere e parole manifesta questa divina profondità in cui siamo e ci muoviamo.

Adesso il diavolo ha messo in cuore a Giuda, il prescelto e amico Giuda, la decisione di vendere Gesù, di tradirlo consegnandolo ai Giudei che lo vogliono morto (cf. Gv 13,2). Il tentativo del male di soffocare la Luce sta giungendo alla sua ultima possibilità: eliminare Gesù. Egli si è detto Figlio di Dio, e occorre dimostrare che era solo un uomo, un impostore, un illusionista. C’è fretta di chiudere il capitolo e di buttare fuori dalla storia quell’uomo ingombrante. All’estremo tentativo del diavolo contro Gesù Cristo corrisponde la decisione di questi di amare fino alla fine, cioè fino all’ultima possibilità, manifestando quindi la profondità del cuore misericordioso di Dio. Gesù dona se stesso, ama fino al dono di se stesso, fino al dono del corpo da mangiare e del sangue versato da bere.

“Fino alla fine” è possibile solo a Dio, al quale appartiene ogni inizio e ogni possibile fine. L’uomo, invece, ama naturalmente “fino a un certo punto”. Solo Dio ama oltre ogni possibile ostacolo e obiezione, fino alla morte e oltre alla morte. E poiché l’amore è vita, solo Dio può far sorgere vita in contesti di morte. Fino alla fine, fin dentro gli angoli più oscuri della nostra esistenza e storia, fin sopra la croce e dentro la morte e oltre la morte, superando il baratro del nulla. Dio ci ama fin oltre la morte.

Non possiamo più disperare sapendo di questo amore senza condizione, che non può essere fermato da alcun limite che opponiamo. Non possiamo disperare della misericordia di Dio, che ci supera e ci attende anche oltre le possibilità da noi fissate. Se ci ha liberato dal baratro della morte, come può non farci risorgere dalla passione ingannatrice o dall’umiliazione di un peccato, da un lutto grave o dal dolore della solitudine? Oltre l’ultima possibilità di male, l’amore di Dio ci raggiunge sempre. Se giungiamo a un limite, Egli ci ama anche lì. Fino alla fine.

Sembra che Gesù chieda solo una cosa: che ci lasciamo lavare i piedi, che ci lasciamo amare e perdonare (Gv 13,8-10). E se accettiamo questo amore almeno in una parte della vita (i piedi) questo basta, non serve fare il bagno. Occorre cedere all’amore di Dio, almeno per un momento, almeno in una circostanza, e siamo già suoi. Dio cerca non la perfezione della vita morale o l’elevatezza intellettuale, ma l’umiltà di lasciarci amare, perdonare, abbracciare. Saremo allora anche parte di questo “amore fino alla fine” che sgorga dal cuore della Trinità e raggiunge gli uomini in ogni loro inferno. Come padre Massimiliano Kolbe nel campo di concentramento di Auschwitz, o nello stesso luogo infernale, Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein). Come può non raggiungere, allora, questo amore che fa vivere, gli uomini nel centro di Cagliari, o nelle spiagge di Calabria, o nelle case di accoglienza della nostra diocesi, nel carcere di Uta e di Quartucciu? Per la dilatazione di questo amore, non servono persone eroiche o perfette, ma persone memori di essere state amate e perdonate, uomini e donne col vivo sentimento di una misericordia continuamente usata nei loro confronti. Allora diventiamo parte di questo amore che, attraverso di noi, giunge ai nostri familiari, ai compagni di lavoro o di hobby, nei nostri quartieri e condomini. Solo persone con i piedi lavati dal Signore possono lavare i piedi dei fratelli affaticati da lunghi e dolorosi cammini. Non servono eroi, ma persone piene di gratitudine, persone cariche di memoria. Tutta la nostra carità è opera di gratitudine, memoria e grazia. La memoria di cui parla Gesù (cf. 1Cor 11,35) non è la custodia rituale di un fatto passato, ma l’evidenza di un fatto (cominciato nel passato ma) vivo in questo mio presente.

Quando termina la Croce, inizia il tabernacolo. L’eucarestia, che di quell’amore fino alla fine è l’espressione più impressionante e sorgiva di vita, è il sacramento perpetuo della carità di Cristo, la ripresentazione della Pasqua, motivo di vita, amore e speranza. Non basta guardare, occorre mangiare e bere, sentire in noi la fame e la sete di Dio, per offrire nella nostra carità lo stesso nutrimento ai nostri fratelli uomini affamati.

 

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