Omelie Vescovo

Omelia del Vescovo per la Giornata mondiale della Vita consacrata 2025

Festa della Presentazione del Signore. Giornata Mondiale della Vita Consacrata

Cattedrale di Cagliari; domenica 02 febbraio 2025

Ml 3,1-4
Eb 2,14-18
Lc 2,22-40

 

Carissimi fratelli e sorelle,

sono davvero lieto di celebrare nella Cattedrale di Cagliari la Giornata Mondiale della Vita Consacrata in questo Anno Santo dedicato al tema della speranza – Pellegrini di speranza -, un tema che provoca questo mondo spesso rassegnato o appagato, un tema che provoca il mondo, le comunità e le nostre persone. È bello poter fare il nostro giubileo in questo luogo. La Vita Consacrata è saldamente radicata dentro la dimensione della speranza, ha un’indole strutturalmente e ultimamente escatologica perché guarda il momento finale, quello in cui tutto sarà ricapitolato in Cristo e quindi pacificato, finché anche la morte verrà sconfitta e tutto riconsegnato al Padre perché Egli sia tutto in tutto. Cristo tutto in tutti, il Padre tutto in tutto (cf. 1Cor 15, 20-28).

Noi viviamo di questa speranza, la speranza del Regno di Cristo che attendiamo come nostra felicità, come evento sponsale, non come l’attuarsi di un progetto ma come l’avverarsi di un amore capace di compiere la nostra vita, di renderla beata, tanto da sconfiggere anche il potere di corruzione del peccato, del male e della morte. Il senso della nostra vita è questo momento finale che guardiamo con desiderio e attesa. La vita consacrata guarda questo momento finale anticipandolo, non soltanto come segno che aiuta a ricordarlo, come una sorta di “memoria del futuro” che attende l’esistenza al termine del nostro pellegrinaggio, ma come vera anticipazione già nell’oggi. La vita consacrata potrebbe paragonarsi a una calamita, che attira nel presente il momento finale e attira la vita presente a Cristo, verso cui tutto si muove. Davvero è una memoria viva del destino finale di tutte le cose, come un’aurora: il sole non è ancora visibile, non riscalda ancora il mondo e non vince totalmente le tenebre, ma già i colori del cielo cambiano, già si vede un po’ di rossore, già si intravede che c’è un punto in cui la tenebra è vinta. Siamo noi quel punto, siamo chiamati ad essere noi quel punto di nuova luce, per dire agli uomini di alzare il capo, di vegliare e attendere l’avvento del sole.

La vita consacrata è un grande segno di speranza per il mondo che vive oggi più di ieri nelle tenebre. Per essere fedeli a questa vocazione, fedeli per sempre, e per poter godere di questa dimensione sponsale e profetica (siamo radicati in una dimensione sponsale e profetica), dobbiamo sentirci personalmente e come comunità in pellegrinaggio, divenire pellegrini di speranza. La colletta di oggi parla di una purificazione dal vivere e mi permetto di indicarne tre dimensioni. La purificazione rituale compiuta da Giuseppe e Maria è come una figura di ciò che deve realizzarsi nella nostra vita.

  1. Anzitutto occorre chiedere la purificazione del desiderio. Tutti noi attendiamo qualcosa, tutti attendiamo dal giorno prossimo un bene, quale? Prima di andare a letto dovremmo chiederci: cosa mi attendo da domani? La salute, certo, come l’amicizia, la fraternità, una soddisfazione di riconoscimento da parte del superiore o degli amici; mi attendo il realizzarsi della vita secondo un mio progetto, il successo di un’opera, e questo è inevitabile, ma dobbiamo chiedere allo Spirito che rinnovi la promessa fatta a Simeone (cf. Lc 2, 25-26): noi desideriamo vedere Dio. Prima di morire, sì, perché la vita serve a questo, non ha un altro scopo. La vita per noi è desiderare Dio, cercarLo o, per usare l’espressione bellissima di Malachia, sospirarlo (cf. Ml 3, 1). Cerchiamo il Signore, sospiriamo Dio dentro la ricerca comune, dentro le attese che fanno parte della nostra esistenza cerchiamo un “altro”, un “oltre”, una dimensione ulteriore, un infinito che può compiersi solo in Dio. Come Simeone, come Anna, attendiamo e cerchiamo Dio.
  2. Alla purificazione del desiderio e della ricerca deve poter corrispondere, e ne invochiamo il dono, la purificazione dello sguardo, quello della fede, la purificazione dello sguardo che lo Spirito donò a Simeone: «I miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata davanti a tutti i popoli» (Lc 2, 30-31), e parlava di un bambino tanto piccolo da poterlo prendere in braccio. Si fa esperienza di una sproporzione: la luce delle genti, la salvezza del mondo, non è l’affermarsi di un’egemonia politica o di un potere mondano, ma si avvera nel fragile corpo di un bambino, nel volto fragile e amorevole di un bambino. Questa è la fede: poter riconoscere con amore il Signore che viene, dentro la fragilità della nostra condizione umana. Non deve passare giorno senza poter dire con Simeone: davvero i miei occhi ti hanno veduto. Serve una purificazione dello sguardo possibile solo allo Spirito. Chiediamo questo sguardo, perché il Signore viene, viene già, parla già al nostro cuore. Occorre silenzio, occorre attenzione per poter scoprire le sue orme, per poter sentire il rumore dei suoi passi.
  3. La terza purificazione da chiedere è quella delle relazioni. Queste mondanamente sono spesso definite dalla volontà di affermazione di sé. Pensiamo ad Anna che parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme (cf. Lc 2, 38). I rapporti diventano missione, cioè testimonianza di ciò che abbiamo cercato e veduto, di ciò che abbiamo desiderato e scoperto, e non è possibile trasmettere la fede senza leggere nel cuore degli uomini la profonda attesa di redenzione. Siamo chiamati ad essere testimoni di una speranza che, se solo predicata, non è credibile, non è attendibile. La speranza può essere motivo di una scommessa, di un rilancio della vita, di un nuovo vigore, solo se è testimoniata da uomini e donne che per questo vivono con pienezza la loro affettività nella verginità, il possesso del mondo nella povertà, il governo di sé nell’obbedienza. Questo miracolo è possibile solo per il dono dello Spirito Santo che noi invochiamo quotidianamente.

Allora sì che la vita consacrata diventa luce, rispecchia Cristo, luce del mondo. Questo dobbiamo anzitutto chiedere, che riprenda vigore il primo amore (cf. Ap 2, 4), che impariamo di nuovo ad amar Cristo come luce che fa vedere la strada, la meta e i compagni di viaggio, che possiamo stringerci a Lui, salvezza della nostra vita e del mondo. Cristo, sommamente amato, è il senso unico della nostra esistenza.

C’è una condizione che non deve far paura, che visse Maria, che fu preannunciata e profetizzata da Samuele: il sacrificio, quella spada che penetra nel cuore per dilatarlo, non per ferirlo o mortificarlo, ma per renderlo più largo (cf. Lc 2, 34). La spada apre il cuore di Maria perché la sua maternità possa essere per tutti e per tutti i tempi. Un amore diventa vero nel sacrificio, che dobbiamo vivere senza paura perché certi che il Signore è con noi. Già viene Lui, nostro sposo, luce delle genti e gloria del suo popolo (cf. Lc 2, 32).

 

 

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