Omelie Vescovo

Omelia del Vescovo per la Messa vespertina nella vigilia dell’Epifania

Solennità della Epifania del Signore
Messa Vespertina nella Vigilia
Basilica Cattedrale di Cagliari, venerdì 5 gennaio 2024

«Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono» (Mt 2,11).

Avevano fatto un lungo cammino, faticoso possiamo anche immaginare, attraversando territori a loro sconosciuti, vincendo la tentazione di tornare indietro considerando una “follia” quel viaggio. I Magi si erano mossi perché avevano visto una stella e volevano trovare «colui che è nato, il Re dei Giudei» (Mt 2,2). Si poteva giustificare un cammino così gravoso solo se a quella nascita potevano essere affidate speranze importanti, come l’attesa di un grande cambiamento, di una svolta nella storia. Ma no, non è certo una follia mettersi in cammino per un evento ignoto ma annunciato da un segno così potente come la stella che era apparsa in cielo. D’altra parte, chi è davvero il folle, chi resta chiuso nelle proprie povere e piccole cose o chi dà credito alla luce che illumina il buio della notte e si mette in ricerca? Pensiamo all’amore di una mamma disposta a superare ogni ostacolo pur di salvare il proprio figlio malato o alla speranza di felicità del giovane innamorato pronto a cambiare vita pur di condividerla con colei che ama. Sono folli? Star chiusi e fermi non è saggezza ma mancanza di immaginazione e di amore. E invece il nostro cuore non può accontentarsi di cose conosciute e finite, anche se comode e rassicuranti. Abbiamo una sete infinita perché Dio ha messo nel cuore la nostalgia di se stesso, il desiderio dell’assoluto e dell’eterno, il fascino del non ancora conosciuto e del senza limite. Saggio e realista è chi cerca Dio. Confessiamo, almeno davanti al buon Dio, che abbiamo nostalgia di un amore così, di un innamoramento talmente ardente da spingerci a cercare cose grandi e felici.

I Magi ritrovano la stella e provano una gioia grandissima, luce e gioia che sembravano perdute nei giorni passati a Gerusalemme, perché la gioia riaffiora, come la luce, nella fedeltà di un cammino, come un dono gratuitamente dato a chi è fedele al viaggio anche nei momenti difficili. La gioia era rivedere la luce che li aspettava. Camminiamo perché attratti da una luce che ci aspetta sempre, indica la via e si ferma dove possiamo trovare il Re.

Adesso si trovano davanti al bambino con la mamma Maria. Vedono quel bambino in braccio a sua madre e comprendono che tutto il senso della loro speranza, del cammino fatto, della fatica sopportata è Lui, un bambino che si lascia trovare nella tenerezza di un abbraccio materno. Non ci sono scopo e meta più adeguati alla vita. Gesù Cristo è la ragione, il centro, la chiave di volta della storia, l’origine e il termine del nostro cammino. Il Verbo si è fatto uomo proprio per farsi trovare dagli uomini, per farsi vedere nell’esperienza della luce e della gioia. Per questo è venuto nel mondo, per risplendere nella notte degli uomini e attirarli alla gioia grandissima della sua presenza. Tutto il nostro cammino si compie solo quando troviamo Cristo, ed è la Madre che lo offre all’adorazione degli uomini in ricerca.

Cosa vedono i Magi? San Bernardo ci aiuta a comprendere che la gioia non è per ciò che vedono, ma per il mistero che riconoscono dentro ciò che appare, che affiora nell’esperienza. «Nel Bambino [i Magi] riconoscono Dio, lo indica l’offerta dell’incenso. E non riconoscono solo Dio, ma anche il Re, che è designato dall’oro. E in queste cose non resta nascosto neanche il grande mistero della pietà, dato che la mirra indica la sua morte. Adorano i Magi, e offrono i loro doni a una creatura che sta ancora succhiando dal seno della madre. Ma dov’è, oh Magi, dov’è la porpora di questo re? Sono forse questi poveri panni con i quali è fasciato? Se è un re, dov’è il suo diadema? E però voi lo vedete davvero coronato di un diadema, con il quale lo ha incoronato sua madre» (Sermone II nell’Epifania del Signore, 1). È la fede questo sguardo profondo, questa intelligenza spirituale della realtà, che sa riconoscere Dio nella fragilità dell’uomo: «Guardate e vedete come sia oculata la loro fede, e con più diligenza considerate come tale fede abbia occhi di lince. Essa riconosce il Figlio di Dio che succhia il latte… I Magi vedono la forza di Dio nella debolezza di un fragile corpo… conobbero il Verbo di Dio in un infante» (Ibid., 4).

La fede ha “occhi di lince”, vede un bambino e riconosce Dio, vede gli uomini e riconosce Cristo.

Oggi, la liturgia ci aiuta a comprendere che lo sguardo profondo della fede apre ad un abbraccio universale. Quando, invece, lo sguardo è corto, miope, vediamo solo noi stessi e quelli come noi. La gioia grandissima è invece per tutti gli uomini, nel cuore dei quali la fede sa vedere la nostalgia di Dio, quella inquietudine che attende di scorgere una luce per farsi cammino. Con san Paolo lodiamo Dio perché «le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo» (Ef 3,6). Non possiamo guardare un uomo senza pensare che egli sia chiamato a condividere la nostra stessa gioia nell’unità dello stesso corpo, che è la Chiesa. L’esperienza della nostra gioia ci dona una, umanamente incomprensibile, familiarità con tutti gli uomini, con tutte le genti, le loro storie e tradizioni. L’annuncio e la testimonianza della fede cristiana “pesca” l’attesa profonda che è nel cuore di ogni persona, di tutte le genti e popoli. Tale apertura universale, davvero cattolica, è connessa alla profondità dello sguardo di fede capace di valorizzare ogni aspetto di bene che è negli altri, di leggere e difendere i semi di verità che sono in ciascuno. Chi alza muri di divisione tra se stesso e gli altri soffre di miopia. Solo chi vede lontano e legge nel profondo può essere familiare a tutti.

Cari fratelli, in queste parole ho descritto alcuni aspetti della mia vita e di ciò che ho imparato, dell’esperienza di questi anni di ministero a Cagliari. Sono ben cosciente dei miei limiti e ne chiedo perdono, mentre ho viva memoria delle luci di bene, di fede e carità, che ho visto e continuamente scorgo in mezzo al nostro popolo e nella nostra Chiesa. Riconosco la pura gioia cristiana nella vita di tanti nostri fratelli, che voglio servire e al cui cammino collaborare.

In questi giorni ho letto e riletto la Preghiera pastorale del beato Aelredo di Rievaulx. Prego con le sue parole perché possa essere compagno affidabile nel cammino di ciascuno: «Insegna a me, tuo servo, o Signore, insegnami, ti prego, per il tuo Spirito santo, come possa servirli e spendermi per loro. Dammi, Signore, per la tua grazia ineffabile, di sapere sopportare con pazienza le loro debolezze, da saper condividere con benevolenza le loro sofferenze, e aiutare con discrezione. Alla scuola del tuo Spirito possa imparare a consolare chi è triste, a rafforzare i pusillanimi, a rialzare chi è caduto, a essere debole con i deboli, a indignarmi con chi patisce scandalo, farmi tutto a tutti, per salvare tutti. Metti sulla mia bocca parole vere, e giuste, e gradevoli, cosicché essi siano edificati nella fede, nella speranza e nella carità, nella castità nell’umiltà, nella pazienza e nell’obbedienza, nel fervore dello spirito e nello slancio del cuore». Prego per voi, cari fratelli, e per tutti i fedeli che mi sono affidati e ai quali sono stato consegnato: «Rimani, secondo la tua promessa di fedeltà, in mezzo a loro. E siccome tu sai ciò di cui ciascuno ha bisogno, ti supplico perché tu consolidi quanto c’è di debole in loro, non scarti ciò che è fragile, risani ciò che è malato, metta gioia in ciò che è mesto, accenda ciò che è tiepido, dia forza a ciò che è instabile, così che ciascuno senta che nei suoi bisogni e nelle sue tentazioni non gli manca la tua grazia».

Rimani. Tu sei sempre con noi, o dolce bambino, Dio adorabile.

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