Omelie Vescovo

Omelia del Vescovo per la Messa della notte di Natale 2023

 


Omelia nella Solennità del Natale del Signore – Messa nella Notte

Chiesa Cattedrale di Cagliari, 25 dicembre 2023

Carissimi in Cristo,

abbiamo risentito la lieta notizia recata dall’angelo: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,10-12). L’annuncio riguarda un evento enorme nella sua portata universale: la nascita del Salvatore, del Messia e Signore. Il segno indicato è davvero povero, umile, senza apparenze maestose: un neonato che la mamma ha prima avvolto nelle fasce, presumibilmente preparate a Nazaret, prima di mettersi in viaggio per Betlemme, e poi disteso in una mangiatoia.

Un evento cosmico, tale da mobilitare le schiere celesti, da riconoscere in un segno di povera umanità. Un annuncio esagerato? No. Un segno da guardare con amore, un evento da accogliere nella fede. In quegli anni l’attesa della salvezza e della pace aveva anche un altro protagonista, che certo si presentava in modo da costringere i popoli all’attenzione. Quel Cesare Augusto, che aveva disposto il censimento menzionato da Luca, era venerato come salvatore e dio. Nel 9 a.C., lungo un’ansa del Tevere, veniva consacrata l’Ara pacis, il monumento dedicato alla definitiva instaurazione della pace romana. Nell’iscrizione in un Tempio a lui dedicato, a Priena, si dice che la nascita di Augusto costituiva il «termine del pentimento di essere nati». Cesare Augusto è indicato come il salvatore capace di mettere fine alla guerra e disporre la pace: la «nascita del dio ha segnato l’inizio della buona novella per il mondo».

La buona novella, per il mondo in cerca della pace, è la nascita di un imperatore dio, le cui legioni occupano la terra, oppure la nascita di un bambino avvolto in fasce in una mangiatoia nei sobborghi di Betlemme di Giudea? A chi affidiamo le nostre speranze di pace? Che potere potrebbe vantare questo bambino se l’imposizione della pace deve potervi avvantaggiare dell’esercizio di una qualche forza, come i realisti e i politici di tutti i tempi ritengono? Quale pace può recare al mondo un bambino che guarda il mondo da una mangiatoia?
L’angelo aggiunge che la pace in terra, che corrisponde alla gloria di Dio, è quella data agli uomini «che Dio ama» (Lc 2,14).

Non la tregua momentanea e neanche la semplice soddisfazione delle proprie aspettative, la pace donata da Dio è l’esperienza di un amore che compie ogni promessa di felicità, vita e verità. È la pace donata da un amore per il quale possiamo essere riconciliati col cielo e tra noi, e perdonati senza condizione, senza misura, senza limite. Che pace potremmo sperare senza il perdono? Quel bambino cambia la storia perché vi introduce un elemento che non può più essere eliminato: l’amore di Dio si fa vita, si fa carne, si unisce a ogni uomo. L’amore che colma la infinita distanza tra noi e Dio, colma anche la distanza tra quella notte e il nostro presente. La luce gioiosa di quella notte di Betlemme vive in ogni oggi della nostra vita: in ogni suo angolo umile e povero è possibile trovare il Salvatore, il Messia, il Signore. Ogni oggi della storia vive a Betlemme.

Qualche giorno addietro ho celebrato la Santa Messa con un gruppo di malati di S.L.A. insieme ai loro familiari e ai volontari che se ne prendono cura. Al termine della messa ho salutato i presenti. Una delle persone inferme, che il male costringe in una posizione innaturale, ripiegata su se stessa, ha preso la mia mano e, non senza fatica, l’ha portata alla sua guancia, come per ricevere una carezza o, forse, per donarmi un gesto d’affetto. Pochi secondi, tanto intensi da lasciare nell’animo una traccia.

Questo è il mistero del Natale: Dio si fa carne per divenire carezza alla nostra umanità ferita e mai doma, malata e desiderosa di non morire. Una carne effimera e precaria, eppure sempre capace di amare e di bramare l’eterno.
Il Verbo, l’«immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione», per mezzo del quale e in vista del quale tutte le cose sono state create, colui che «è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono» (cf. Col 1,15-17), si è fatto uomo, propriamente «si fece carne» e «venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14), per poter toccare quella guancia, per divenire carezza e riscattare quella carne dall’insensatezza del nulla.

«Dio si è manifestato nascendo – scrive San Gregorio Nazianzeno -, il Verbo prende spessore, l’Invisibile si lascia vedere, l’intangibile diviene palpabile, l’intemporale entra nel tempo, il Figlio di Dio diviene figlio dell’uomo». L’intangibile diviene palpabile per divenire parte dell’esperienza umana, fatta di concretezza di gesti, di parole e sguardi, prende spessore per farsi riconoscere come Amore assoluto e carezza tenerissima, per aprire all’Eterno la carne fragile dell’uomo.

Non è questa, d’altra parte, la missione della Chiesa, quella di essere per gli uomini la carezza del Salvatore? Nel gesto d’amore gratuito dato e ricevuto in nome di Dio, le tenebre sono vinte e davvero continua a nascere, oggi, il Salvatore.

La sera prima ero stato a cena con i minori di una casa di comunità di accoglienza, che mi hanno regalato la statua di un Bambinello in una barchetta da loro stessi costruita, simile, nella forma, a quella utilizzata da alcuni di loro per giungere nelle nostre coste, al termine di un terribile viaggio di speranza e umiliante dolore. Il bambino nasce oggi anche in quel segno di povera umanità per dire che non siamo abbandonati, che Dio stesso viaggia con noi e ci attira al porto bramato. In quella barca Egli c’è.

L’altro ieri, sabato 23 dicembre, la comunità degli ortodossi che prega qui accanto alla Cattedrale, è venuta in Episcopio per lo scambio di auguri. I canti natalizi sono stati affidati a due donne, una ucraina e l’altra russa, che insieme hanno testimoniato la possibilità di vivere, nella dimora del Dio-con-noi in pace, in gioiosa fraternità. Con emozione, è stato un segno della vittoria della fede sulla guerra e la promessa di un mondo nuovo che si fa spazio anche tra le macerie di una umanità segnata dalla divisione dell’odio e del potere. In quel canto gioioso e nello sguardo di quelle due donne, continua a nascere, oggi, per noi un Salvatore, che è Cristo Signore.
Che dire, inoltre, della donna ucraina che fuggendo dai bombardamenti raccoglie a Cherson una icona della Madonna Odigitria, e la dona a me, sabato 16 dicembre, in segno di gratitudine per l’accoglienza della nostra Chiesa di Cagliari e come simbolo di pace tra i popoli? Non dice parole di odio colei che scappa dalle bombe, ma dona simboli di pace: la Madonna che offre alla ricerca dell’uomo, il figlio suo, il Salvatore, Cristo e Signore. Nella notte della guerra si fa strada una luce che, come nella notte di Betlemme, non è vinta dalle tenebre (cf. Gv 1,5). Nel presepio non c’è bisogno di nemici ma solo di fratelli.

E poi il bambino sottratto alla morte all’Ospedale Microcitemico, battezzato lì, tra le braccia della famiglia affidataria e avendo come padrini due medici curanti. Il cuore dell’uomo porta in sé l’immagine di Dio amore e una specie di nostalgia della notte di stupore di Betlemme.
Potrei parlare di altri fatti e incontri di questa settimana: segni che la pace è possibile nell’accoglienza di quel Dio dal volto di bambino. Tanti altri, ciascuno di voi potrebbe raccontare, perché il Natale è anche questo: far memoria dei punti vivi di umanità in cui ci raggiunge il Verbo divino.

È un’ora buia per il mondo, un’ora di incertezza, di morte e sofferenza. Noi cristiani vogliamo stanotte indicare a tutti, in quel bambino adagiato nella mangiatoia, la vera pace. La pace del cuore chiede di divenire la pace tra i popoli. Cerchiamo e vogliamo essere protagonisti di un radicale cambiamento del mondo e possiamo farlo a partire da quel presente donato, da quell’oggi di luce che, nelle tenebre del mondo, continua a toccare il nostro cuore. Non c’è notte così buia da impedire alla luce di Dio di raggiungerci e darci speranza.
Come i pastori, torniamo da questa notte glorificando e lodando Dio, senza avere vergogna di annunciare quel che abbiamo visto e udito. Un bambino nato povero, la gloria di Dio, la pace per gli uomini.

Il Bambino di Betlemme ci conceda la gioia di essere la Sua carezza per gli uomini che incontriamo.

 

 

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