Omelie Vescovo

Omelia del Vescovo per le ordinazioni diaconali del 17 dicembre 2023

Ordinazione diaconale di Claudio Pireddu e Andrea Pelgreffi

Cattedrale di Cagliari, domenica 17 dicembre 2023 (III Domenica di Avvento)

Is 61,1-2.10-11

1Ts 5,16-24

Gv 1,6-8.19-28

Carissimi in Cristo, e soprattutto voi, carissimi Claudio e Giuseppe Andrea,

la liturgia di oggi annuncia che la gioia è penetrata nel mondo non in modo episodico e frammentato ma definitivamente. Il misterioso consacrato con l’unzione di Isaia dichiara: «Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio» (Is 61,10); Maria, a sua volta testimonia: «L’anima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore» (Lc 1,46-47). È una gioia definitiva, per sempre, perché non corrisponde al possesso di beni effimeri, quelli che possono esserci tolti, ma alla presenza fedele del Signore. La vita del credente esulta nel Signore e il Signore è sempre con noi, è l’Emmanuele, il Dio-con-noi. È sempre con noi come pienezza di vita e verità, di amore e giustizia, anche nei momenti o negli angoli bui della storia. Comprendiamo che è possibile essere sempre lieti (1Ts 5,16). Sempre, perché sempre il Risorto ci riscatta dal nulla e dall’assurdo e scrive l’ultima parola sul destino dell’uomo. Altrimenti, che credibilità avrebbe questo canto alla gioia? La parrocchia cattolica di Gaza piange l’uccisione senza ragione di due donne, madre e figlia. Possiamo annunciare la gioia solo se questa non coincide con il possesso di beni e di posizioni che passano ma con la presenza di un Redentore che ci sottrae per sempre dal dominio della morte. Non cerchiamo la gioia in qualcosa che possiamo prendere e pagare (in tanti modi) ma solo nel Signore.

Ieri abbiamo vissuto nel Palazzo Vescovile un bel momento di incontro con tanti immigrati presenti a Cagliari, rappresentanti di quasi 50 gruppi nazionali, culturali e religiosi. Una donna ucraina, originaria di Cherson, mi ha donato un’icona della Madonna Odigitria, che ha portato con sé mentre fuggiva dai bombardamenti. L’ha presa da terra e adesso, piangendo, l’ha donata come simbolo di pace (ha detto così) e di gratitudine per l’accoglienza ricevuta. Mentre piangeva, un altro gruppo di ucraini è entrato nel salone cantando inni gioiosi di Natale e annunciando nella lingua nativa la nascita del Redentore nella piccola, umile, povera grotta di Betlemme. Questo è il cristianesimo! La vita sarebbe assurda senza la nascita di un Dio che è penetrato come uomo nella nostra storia per farne un cammino, talvolta doloroso e talaltra pieno di allegria, verso una meta di eternità. La gioia di quel Dio-Bambino riscatta la vita dalla tentazione dell’insensato.

Anche a voi, cari Claudio e Giuseppe Andrea, è affidata la missione di annunciare, testimoniare e comunicare questa cara gioia. È il senso del vostro ministero e della vostra esistenza. La condizione è cercare solo il Regno di Dio.

Nella liturgia di oggi giganteggia la figura austera di Giovanni, l’amico dello sposo che gioisce alla sua parola (Gv 3,29), la voce che nel deserto prepara la via al Signore (Gv 1,23), lo sguardo che fissa e indica l’Agnello di Dio che passa (Gv 1,36). Egli «venne come testimone per dare testimonianza alla luce» (Gv 1,7). Il battezzatore rende la sua testimonianza rispondendo alle domande degli inviati dei sacerdoti e leviti, i quali non chiedono, come le folle a lui accorse per farsi battezzare: «Che cosa dobbiamo fare?» (Lc 3,10), ma: «Tu, chi sei?» (Gv 1,19) e anche: «Che cosa dici di te stesso?» (Gv 1,22). A Giovanni non è chiesto cosa stia facendo, che ideale religioso intenda perseguire o quale sia la sua idea circa la dominazione romana. Tu, chi sei? Davanti alle domande dirette non è possibile sottrarsi; a domande come quelle non è possibile dare risposte vaghe o elusive. La domanda del mondo induce i credenti a dare risposte chiare, a testimoniare Gesù Cristo svelando la propria identità. Viene da pensare che il mondo smette di farci queste domande quando non avverte in noi alcuna sporgenza, alcuna differenza, rispetto alla mentalità e allo stile di vita mondani. I credenti testimoniano il Salvatore rispondendo alla domanda sulla loro profonda identità e missione.

La vera testimonianza è resa a questo livello di consapevolezza. Il mondo non vuol sapere tanto cosa facciamo (tanto più che tante delle nostre attività possono essere svolte anche da altri e forse in modo più efficiente), ma chi siamo, quale sia la nostra identità, la speranza, la verità e l’amore che sostengono la nostra vita. Solo a questa profondità di risposta, possiamo dialogare con l’interrogativo fondamentale degli uomini, e dei giovani in particolare, al quale ha dato voce il poeta Leopardi: «… che vuol dir questa / Solitudine immensa? ed io che sono?» (Canto notturno di un pastore errante dell’Asia). L’approdo di una sincera interrogazione della realtà, e sul significato del cielo e della terra, è la domanda su sé stessi (ed io che sono?) e sul senso del passaggio terreno.

Cari Claudio e Giuseppe Andrea, nella radicale testimonianza della nostra identità possiamo incontrare la ricerca e gli interrogativi di ogni uomo. Altrimenti, raccogliamo solo cose di secondaria importanza, rischiando di accontentarci di dialogare con emozioni e immagini fatue.

Giovanni rende testimonianza dichiarando ciò che non è e il senso profondo della sua azione nel mondo. Egli non è il Cristo, non è idoneo a riscattare la vita dalle potenze del male, a rinnovare le coscienze e dare consolazione ai cuori. Non può esserci dubbio su questo. Egli è la voce che grida nel deserto del mondo per preparare le strade al Messia. Giovanni dice sé stesso in rapporto al Messia che viene dopo di lui. La sua identità è un Altro da sé che deve far conoscere con le parole e i gesti potenti e un modo di vivere che non ha altro significato che preparare la Sposa all’incontro con lo Sposo (Gv 3,29).

In tal modo, Giovanni afferma la sua identità di inviato: «Venne un uomo mandato da Dio» (Gv 1,6). Mandato agli uomini per sostenere la loro attesa e preparare l’accoglienza al Salvatore; mandato per presentargli un popolo ben disposto. Mandato per rendere testimonianza alla luce. È questa la coscienza veramente religiosa, la vera gioia di Giovanni.

Tante volte Gesù, rispondendo alla domanda del mondo, evidenzia questo contenuto di coscienza in modo pieno (come solo il Figlio può fare): «Il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre» (Gv 6,57). Lo scopo della missione deve coincidere con la sua origine: vive per il Padre che lo ha mandato nel mondo. Gesù vive per il Padre e non certo per sé stesso: «Chi parla da sé stesso, cerca la propria gloria; ma chi cerca la gloria di colui che lo ha mandato è veritiero, e in lui non c’è ingiustizia» (Gv 7,18). La verità e credibilità della sua parola sta nel cercare la gloria di chi lo ha inviato nel mondo. «Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. […] Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio» (Gv 8,50.54). Gesù è mandato per affermare la gloria del Padre, la salvezza degli uomini. Infine, rispondendo alla domanda di Pilato, nel momento solenne del giudizio, Egli dice in modo definitivo la sua missione: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità» (Gv 18,37). La testimonianza è sempre resa davanti alla domanda degli uomini. Gesù è il testimone fedele (Ap 1,5) che non vuole e non cerca altro che la gloria del Padre e quindi la salvezza degli uomini, la loro gioia nell’accoglienza libera e grata della verità. Per questa identità di missione, Egli nasce a Betlemme, sale sulla croce, scende negli inferi, risorge alla vita nuova. E, risorto da morte, Gesù Cristo manda noi, la Chiesa, per testimoniare la sua vittoria sul male: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21). Per questa missione siamo “come” Gesù Cristo.

La nostra vita di ministri della Chiesa, cari Claudio e Giuseppe Andrea, è totalmente sostenuta e trova la sua efficacia nella ferma coscienza di essere mandati per rendere testimonianza al Signore che viene. Non cerchiamo altra gloria. Nell’annuncio della Parola di Dio, nel servizio alla mensa del Signore, nella diaconia della carità, siete inviati agli uomini per far conoscere e comunicare il Signore nel quale si compie ogni promessa di gioia, di verità, di vita. Non abbiate altra ragione e sarete persone liete che annunciano la vera letizia. La vita si riempie di una gratitudine mai vinta dalla tristezza della propria insufficienza e peccato.

Chiedete senza stancarvi a Maria Santissima la viva memoria della vostra missione di gioia: siete inviati per dare testimonianza alla luce che illumina ogni notte del mondo e che le tenebre non possono mai vincere (Gv 1,5). Siate ministri del suo splendore!

Condividi
Skip to content