Omelie Vescovo

Omelia del Vescovo per l’ordinazione presbiterale di don Andrea Manunta

Ordinazione presbiterale del diacono Andrea Manunta

Parrocchia Sant’Anna, 30 ottobre 2023, Solennità di San Saturnino martire

Sir 51,1-12

1Cor 9,6-10

Gv 12,24-26

 

Carissimi in Cristo,

la solennità di San Saturnino aiuta a ben comprendere il mistero che stiamo celebrando. Nel martire si compie a titolo del tutto particolare il mistero di amore e morte, di passione e risurrezione di Cristo Signore. Il martire muore in Cristo per portare molto frutto, perde la vita per conservarla per la vita eterna (cf. Gv 12,24-26). Saturnino è martire perché testimonia che il frutto della vita, ed è vita eterna, proviene unicamente dal Dio al quale ci si consegna interamente, lietamente, liberamente. Solo Dio può dare all’uomo l’eternità bramata e lo fa in una consegna totale. Anche tu, caro Andrea, sei chiamato ad essere testimone di Cristo in questa totale consegna.

Il sacramento dell’ordine fissa un rapporto con Cristo che fra poco dirò in questi termini: «Ricevi le offerte del popolo santo, per il sacrificio eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore». La generosità richiamata dalla Seconda Lettura (1Cor 9,6-10) si esprime anche nel cammino, mai del tutto concluso, della coscienza e della volontà per il quale ci rendiamo conto e imitiamo i misteri che celebriamo. È un cammino possibile solo se nel pane e nel vino offriamo anche noi stessi e che può compiersi solo in paradiso. Non prima. La qualità morale della nostra vita consiste anche nel camminare sempre, nel non fermarci mai a compiacerci dei nostri successi e a non bloccarci mai per le nostre insufficienze. Siamo sempre in cammino, sulla soglia di un mistero che ci precede, ci supera ed è affidato alle nostre persone. Questo certamente stupisce. Che il Dio del cielo e della terra, il Signore della storia e del creato, abbia deciso di affidarsi a noi, povere creature, per farsi presente, vicino agli uomini; per nutrire, perdonare, sostenere e educare coloro che si affidano a Lui e lo cercano. Possiamo accettare la grandezza di questo compito solo nella più sincera e acuta consapevolezza della nostra debolezza. Anche questa va accettata nell’obbedienza e nell’amore.

Sulla croce si realizza il mistero che il Figlio vive nel seno della Santissima Trinità, mistero di puro amore e pura obbedienza al Padre. Noi, chiamati ad essere ministri di Cristo per il suo popolo, non abbiamo altra forma per vivere l’amore che l’obbedienza, la consegna totale dell’esistenza. Il mistero della conformazione alla croce di Cristo può alimentarsi solo nell’offerta continua di sé stessi. Non una sola volta, ma ogni volta che l’amore richiede la testimonianza dell’obbedienza.

Noi siamo quel che Cristo ha deciso di farci divenire per la sua gloria e la salvezza degli uomini. Dice Gregorio di Nazianzo che Cristo «si è fatto in tutti compiutamente quello che è Egli stesso veramente, perché non siamo più maschio o femmina, barbaro e Scita, schiavo e libero, che sono distinzioni della carne, ma perché portiamo in noi stessi la sola impronta divina, dalla quale e per la quale siamo nati, avendo ricevuto da essa la nostra forma ed immagine al punto che solo per mezzo di essa possiamo essere riconosciuti» (Gregorio di Nazianzo, Orazione 7,23). Nella nostra esistenza, misteriosamente, Cristo diviene ciò che Egli è veramente, e non possiamo più essere riconosciuti al di fuori della forma ed immagine che egli imprime in noi. La gioia è accettare totalmente, radicalmente, di essere identificati dalla forma e immagine che il sacramento realizza in noi. La tentazione del peccato è invece quella di pensare di poter essere apprezzati ed amati nella propria umanità al di fuori dell’impronta di Cristo.

Caro Andrea, lascia che questa impronta fissi per sempre la forma e l’immagine della tua esistenza e missione. Il testimone è chi vive, almeno nel desiderio e come motivo di preghiera, almeno nel dolore della debolezza, la totale identificazione tra l’esistenza umana e la missione divina che gli è affidata. L’io che costituisce il soggetto della preghiera di consacrazione e dell’assoluzione è l’io di Cristo e del presbitero tutto intero, vita e ministero.

La misericordia di Dio, tramite te, deve poter toccare gli uomini nella loro concreta e unica umanità. Viviamo nella nostra carne ciò che può renderci più misericordiosi e degni di fede nel venire in aiuto agli uomini ai quali siamo inviati (cf. Eb 2,14-18).

La prima lettura (Sir 51,1-12), caro Andrea e cari tutti, sembra scritta per noi, sembra l’implorazione dei credenti in Ucraina o in Palestina, oppure da quanti sono afflitti dalla guerra in qualche altra parte del mondo segnata dalla violenza. È la preghiera di supplica di chi chiede salvezza e ricorre al Padre con fiducia perché ne ricorda le misericordie. È insieme il rendimento di lode di chi è stato esaudito e ringrazia il Signore. Caro Andrea, il cammino mai compiuto della conversione è al tempo stesso cammino di conformazione a Cristo e di immersione nella storia dell’uomo. E l’uomo mendica salvezza, chiede Dio.

Non possiamo esercitare il nostro ministero se non nella preghiera, ossia pensando a sé stessi come preghiera al Padre a favore degli uomini e come inviati dal Padre tra gli uomini. La coscienza di sé stessi, anche nei momenti di fragilità e di fatica, è sempre coscienza di Dio e del suo dialogo con gli uomini. Siamo chiamati a star dentro questo dialogo profondo tra Dio e il suo popolo, di supplica e mendicanza, di gioia e benedizione, di conforto e fiducia.

Caro Andrea, ti affidiamo a San Saturnino, alla protezione di Sant’Anna, alla infinita misericordia di Maria. Pregano per i te i tuoi genitori. Possa la tua vita e il tuo ministero portare frutti di gioia, frutti di vita eterna.

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