Omelie Vescovo

Omelia del Vescovo per le esequie del card. De Magistris

Omelia per le Esequie dell’Em.mo Cardinale Luigi De Magistris

Cattedrale di Cagliari, 17 febbraio 2022

Durante la cerimonia di ordinazione presbiterale del Cardinale Luigi De Magistris, il 12 aprile 1952, S.E. Monsignor Paolo Botto chiese ai due novelli sacerdoti di essere testimoni della vittoria di Cristo sulla morte: «Siete sacerdoti per annunciare al mondo che il sepolcro è vuoto».

Non c’è compito più importante, urgente ed entusiasmante che recare agli uomini questo annuncio e testimoniarne la forza di trasformazione dell’esistenza e del mondo. È un messaggio che, se accolto, trasfigura la persona e le comunità. «Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa» (Sequenza di Pasqua). Questo cero acceso è annuncio che la morte è stata vinta da Cristo risorto e che la libertà dei figli di Dio è stata acquistata dal suo sacrificio d’amore sulla croce.

Il Libro del Siracide insegna che «alla morte di un uomo si rivelano le sue opere» (Sir 11,27). Non si tratta solo dell’emergere, alla fine, della statura morale dell’uomo e della sua fedeltà ai principi, ma di qualcosa di più radicale. Nell’imminenza dell’Eterno, si vede in trasparenza la consistenza vera della vita e la posizione del cuore. Cosa valga l’esistenza e cosa amiamo veramente si vede in controluce man mano che Dio si avvicina. Allora, infatti, l’animo può chiudersi in un’ostinazione sorda, o aprirsi al mistero che avanza, condividendo lo struggimento di tutta la creazione che desidera, gemendo e soffrendo, di essere liberata dalla corruzione dell’effimero (cf. Rm 8,19-23). Il dolore stesso può aprire il cuore, come in un parto, all’attesa della vera libertà, della redenzione possibile solo nello spazio dell’amore paterno di Dio.

Quando celebriamo un funerale non possiamo non sentire in noi questo gemito interiore che partecipa all’ardente aspettativa di tutta la creazione. Solo di Dio, della Vita piena ed eterna, possono aver sete e desiderio, di fronte alla morte, l’anima e la carne (cf. Sl 63,2). Per il credente tutto il travaglio del dolore diventa ricerca fiduciosa e confidente abbandono: «A te si stringe l’anima mia: la tua destra mi sostiene» (Sl 62,9).

«Siete sacerdoti per annunciare al mondo che il sepolcro è vuoto». Il Cardinale Luigi ha annunciato la novità ultima della risurrezione con la parola e con il silenzio (amava ripetere un verso del salmo 65: «Per te il silenzio è lode, o Dio»), con l’affetto sincero e lo spirito arguto dei cagliaritani. Ha seguito il Signore amato nel servizio umile, generoso e intelligente al Papa e alla Chiesa tutta, come officiale della Congregazione per la Dottrina della Fede, (1959-1969), della Segreteria di Stato (1969-1979), come Reggente della Penitenzieria Apostolica (1979-2001) e, infine, Pro-Penitenziere Maggiore (2001-2003).

Il Papa, che ringraziamo di cuore per la vicinanza alla famiglia e alla Diocesi, ha voluto ricordare l’amore del Cardinale per il ministero della riconciliazione che egli «ha sempre svolto con ammirevole assiduità, proteso al bene delle anime». La misericordia del perdono, infatti, è già la vittoria sul male e pegno della liberazione dalla corruzione della morte. Tornato a Cagliari nel 2010, servì la misericordia di Dio proprio in questa amata Cattedrale.

Tutta la nostra comunità prega per il Cardinale con ammirazione e gratitudine. E in lui, rende lode a Dio, che si fa vicino a noi nell’opera dei suoi testimoni, e in loro ci parla e ci attira.

«Tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (Gv 21,17). L’esempio del Cardinale Luigi testimonia che l’amore a Gesù Cristo trasforma la vita in un servizio senza condizioni e limiti. È un amore che non può esser detto una volta per sempre, ma che si approfondisce nella misura della sequela di Cristo e si rinnova ogni volta che la sua dolce presenza posa su di noi il suo sguardo e domanda: «Mi vuoi bene?». Questo amore salda insieme il ministero e l’esistenza, il servizio alla Chiesa e il cammino personale di fede, la preghiera e l’azione.

Torniamo al Siracide che invita a non chiamare beato nessuno prima della fine (11,28). La dottoressa che ha assistito il Cardinale Luigi negli ultimi istanti di vita, racconta che, ormai prossimo alla morte, si è illuminato quando l’ha sentita accanto rivolgersi alla Madonna. Ha pregato: «Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio». E ancora: «Sancta Maria, spes nostra, ancilla Domini, sedes Sapientiae, ora pro nobis». Ha quindi spalancato gli occhi, felice, ed è morto serenamente. È morto e ha aperto gli occhi all’eternità. È morto pregando, affidandosi serenamente alla Madre di Dio, motivo di ferma fiducia e grande speranza. Il gesto dell’abbandono, d’altra parte, è quello proprio della persona fiduciosa, direi del bambino certo della bontà del genitore. È morto consegnandosi, come un bambino. Era pronto!

D’altra parte, fin dagli anni del Seminario romano, egli aveva imparato a sentire ogni giorno la presenza di Maria Santissima con l’invocazione dolcissima «Mater mea, fiducia mea». In un incontro con i sacerdoti della Congregazione Mariana di Sardegna, del 29 aprile 1997, aveva confidato la convinzione che se negli anni della sua vita non aveva fatto qualche «terribile scivolone», lo doveva «alla Misericordia di Dio, che ha reso viva quella fiducia». Che Maria adesso lo introduca all’abbraccio del Padre.

Il Cardinale ci ha testimoniato che il morire, per i credenti, è l’ultima e definiva risposta all’invito del Signore: mi ami? Seguimi! Vieni con me, se mi ami di più della paura. Seguimi!

La compagnia del Risorto e della sua Madre ci fa attraversare con fiducia anche la valle oscura della morte e ne cambia la cifra: non più una minacciosa rapina da temere, ma una consegna d’amore nell’attesa della redenzione piena.

Supplichiamo il Signore della vita perché accolga nella sua dimora eterna il nostro fratello Luigi, servo buono e fedele, e invochiamo ancora la misericordia di Maria Santissima per lui, la famiglia, per il Papa e tutta la Chiesa.

Non posso dire che questa Chiesa sia oggi più povera. È più ricca di un esempio bello che vogliamo custodire nella sua più intima, grata e viva memoria.

 

 

 

 

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