Omelie Vescovo

Omelia del Vescovo per la Messa precedente la Via Crucis a Serramanna

Omelia per la Santa Messa che ha preceduto la Via Crucis interparrocchiale
Serramanna, Parrocchia di San Leonardo, 4 aprile 2025

«Non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato» (Gv 7,28-29). Nel dialogo che lo oppone ad alcuni abitanti di Gerusalemme, Gesù dichiara il suo mistero svelando la propria origine: Egli viene dal Padre ed è mandato da Lui. Lo può accogliere, quindi, chi è sinceramente preoccupato di conoscerne il mistero e ascoltarne la parola. Cristo indica la propria origine nel Dio Trinità, del quale è mandato a svelarne il volto, un mistero d’amore che splende nella comunione della Chiesa.

Sono grato a don Giuseppe e a don Pietro per aver voluto questo momento di unità delle due parrocchie di Serramanna, San Leonardo e Sant’Ignazio da Laconi. Una delle grazie del Giubileo è la facilità con cui le diverse comunità parrocchiali si stanno radunando per camminare insieme come “pellegrini di speranza”. Si cammina insieme, come compagni di viaggio, partecipi di un’unica comunione. Proprio oggi l’Ufficio delle Letture propone un bellissimo brano di una “Lettera pasquale” di Sant’Atanasio: «La celebrazione della Chiesa ci offre il modo di pregare insieme e innalzare comunitariamente il nostro grazie a Dio. Questa anzi è un’esigenza propria di ogni festa liturgica. È un miracolo della bontà di Dio quello di far sentire solidali nella celebrazione e fondere nell’unità della fede lontani e vicini, presenti e assenti» (Lett. 5,2). È un’esigenza della liturgia e un vero miracolo della misericordia di Cristo questa preghiera unitaria, il rendimento di grazie comunitario.

Volgendoci insieme al mistero di Cristo morto e risorto, per farne memoria, per ringraziarlo, per supplicarlo, noi godiamo della gioia della comunione che giudica i nostri egoismi e apre alla vera speranza. Proprio la memoria di Cristo ci mette solidali nella preghiera. L’unità è questione di speranza. San Paolo ci ricorda, infatti, la natura della Chiesa con queste parole: «Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,3- 6). L’unità della comunione non si fonda sull’obbedienza agli ordini, ma sul riconoscimento amoroso di un Dio che è presente e opera in tutti e attraverso tutti, perché altrimenti come lo si può riconoscere in qualcuno? Se non è presente in tutti, è in nessuno.

L’unità dei credenti è radicata nella chiamata di Dio a una sola speranza, che è Cristo. Se non siamo uniti è perché non abbiamo più la stessa speranza. L’iniziativa che convoca la Chiesa nell’unità è di Dio (cf. Ef 4,4). La comunione della Chiesa si nutre dei sentimenti di Cristo, sentimenti di umiltà, di mansuetudine e di magnanimità (cf. Ef 4,2). Chi separa, chi ferisce questa comunione, non ha i sentimenti di Cristo. Le nostre diversità di storie, di ministeri, di carismi e sensibilità hanno sempre l’unico «scopo di edificare il corpo di Cristo» (Ef 4,12). I differenti doni concessi da Dio sono per questo chiamati non a chiudersi in un particolarismo ma a vivere con magnanimità la corresponsabilità per la comunione e la missione della Chiesa. La comunione non è uniformità come la diversità non è disordine.

Anche se in forma iniziale e talvolta approssimativa, non priva di opacità e mancanze, la comunione pone la Chiesa quale seme, profezia e inizio di un mondo nuovo, mentre il mondo vecchio è quello delle guerre tra i popoli, nelle famiglie, tra persone e dentro il cuore di ciascuno.

«Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere.  Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli.  Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore» (At 2, 42-46). Fuori da questa comunione, che nasce e si alimenta nell’ascolto di Dio, della Chiesa e della celebrazione eucaristica, non possono esserci letizia e semplicità di cuore, ma solo risentimento, tristezza tortuosa e tormentata. La vicendevole carità, il muto sostegno, conducono alla pace: «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune» (At 4,32). Insegnava Giovanni Crisostomo: «Il “mio” e il “tuo”, queste fredde parole che introducono nel mondo infinite guerre, erano state eliminate da quella santa chiesa». La comunione è lacerata – anche nella Chiesa – dalla pretesa di un «mio» contrapposto al «tuo», di un «nostro» nemico del «loro».

San Paolo testimonia lo spessore della comunione: «Siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari» (1 Ts 2, 7-8). Se non diamo la vita l’uno per l’altro, potrebbe risultare sterile la stessa predicazione del vangelo. L’annuncio e la memoria del fatto cristiano sono fecondi solo se diventano un tenerissimo amore, come quello di una madre che nutre i propri figli. La comunione è il luogo della misericordia dove anche il potere in ogni sua forma, del padre sui figli, del datore di lavoro sui dipendenti, dell’amico sull’amico, partecipa all’amore del Figlio di Dio che per noi è salito sulla croce. La comunione richiede la generosità del dare la vita. La misericordia non è debolezza, ma la qualità del vero potere di Dio che rivela la sua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono.

Il cammino del Giubileo ci aiuta a vigilare sulla nostra unità, che richiede sempre una conversione umile e sincera, personale e comunitaria e una costante tensione verso il rinnovamento che solo lo Spirito Santo può donare. Ricordiamo, prima di iniziare la Via Crucis, la preghiera di Gesù nel momento della sua consegna: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me» (Gv 17,20-23). Gesù Cristo è il mandato dal Padre, occorre comprendere che questo annuncio diventa credibile nell’unità d’amore della Chiesa radicalmente innestata in quella della Trinità: siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me. Lacerare l’unità della Chiesa con la divisione è quasi render vana la croce di Cristo.

Cari fratelli, camminiamo dietro la croce di Cristo, unica nostra speranza, come un popolo chiamato a dar testimonianza dell’immenso suo amore.

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