Omelie Vescovo

Omelia del Vescovo per Sant’Efisio a Nora 2024

3 maggio 2024, omelia per Sant’Efisio

Chiesa di Sant’Efisio in Nora

In questo stupendo lembo di terra, tra il cielo e il mare, contempliamo il gesto più bello del giovane Efisio. Soldato addestrato a combattere, a difendersi e ad offendere con le armi, consegna liberamente l’anima a Dio e porge il collo alla mannaia del boia per la fede in quel Signore crocifisso il cui segno ha impresso nella mano e nel cuore. Si è fidato e affidato al Signore che aveva esortato a non avere paura di coloro che al massimo possono uccidere i corpi e aveva promesso: «Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri» (Mt 10,30-31). Adagiandosi sulla croce, Efisio trova Gesù Cristo, l’amato salvatore e nella stessa croce trova ogni uomo, di cui diventa compagno nella pena e nella gioia, nel cammino di salvezza. Prega in quel momento estremo per tutti i cagliaritani, che lungo i secoli ne invocheranno la protezione e ne custodiranno devotamente la memoria.

Consegna la vita, il guerriero divenuto martire, negli anni feroci dell’odio di Diocleziano, la cui persecuzione, cominciata proprio tra le file dell’esercito, fu la più lunga e aspra, con un progressivo inasprimento delle pene, fino alla previsione della condanna a morte per chi si rifiutava di sacrificare agli dei. Le storie di quelle tribolazioni sono terribili, feroci. Un grande santo Pastore, anch’egli ucciso in odio alla fede, San Cipriano, parlava della sofferenza della persecuzione come di una provocazione a ridestare i credenti da una fede giacente e quasi assopita. La memoria di Sant’Efisio e degli altri martiri, e di quelli ancora maggiori degli ultimi secoli, deve scuotere la tiepidezza con cui viviamo la nostra fede e il poco coraggio con cui normalmente impegniamo la vita con il Vangelo.

Sant’Efisio ha rinunciato alla possibilità di un successo di carriera e di posizione mondana ed è andato ad occupare, sull’esempio del nostro Signore e Maestro, l’ultimo posto, quello degli sconfitti, dei poveri schiacciati da una macchina potente che spesso neanche si preoccupa di conoscere nomi e storie delle vittime. Il guerriero Efisio, seguendo Cristo, va ad occupare il posto che i potenti riservano ai perdenti. A quelli che agli occhi del mondo sembrano perdenti. Ma abbiamo cantato: «Chi dona la sua vita risorge nel Signore» (Salmo responsoriale). Da qui, da questa cattedra di fermezza e coraggio, Efisio continua ad insegnarci che l’uomo non vive di solo pane, che l’esistenza non è riducibile alla sola dimensione materiale e che i beni più grandi non si possono né comprare né vendere. Che pena sentire ragionare i potenti solo in termini di valore economico.

Il martirio è un atto d’amore, il più grande che si possa pensare per la salvezza della persona e per il cambiamento del mondo. L’amore più grande è infatti il più potente fattore di trasformazione della storia. Purtroppo, ci stiamo abituando a pensare al mondo come a un luogo di inevitabile sopraffazione e di guerre senza fine. E i poveri uomini, come formichine, ne restano vittime. Il mondo, invece, può cambiare, le guerre possono essere fermate, le spade possono tramutarsi in falci, i campi di battaglia possono ridiventare campi di grano. Con la risurrezione di Cristo, la storia ha conosciuto l’impensabile, il passaggio dalla morte alla vita e noi, i figli della risurrezione, siamo chiamati a lavorare e soffrire per rendere sempre possibile e visibile questo passaggio alla vita vera, alla felicità piena.

Sant’Efisio veniva dall’oriente. Questo mare, e il vento che spesso batte forte, ci portano il grido di mamme e il dolore di giovani. Su questo mare si affacciano i campi di battaglia dell’Ucraina, della Siria e del Libano e dell’amatissima Terra Santa. La passione di Sant’Efisio racconta di anime buone che prelevarono il suo corpo e lo seppellirono con onore. Un atto di pietà. La pietà degli uomini buoni che non possono rassegnarsi alle fosse comuni e alla strage di giovani e bambini inghiottiti dalla guerra per il delirio di potenti che si credono assoluti. La nostra pietà si erga contro i cannoni e le stragi, contro gli stupri e le violenze! E la politica dia corso a questa pietà umana piuttosto che agli interessi di potere. Oggi vogliamo presentare al nostro martire il dolore per la devastazione che segna le terre dell’Ucraina e della Terra santa e che insanguina tanti paesi di tutti i continenti (soprattutto Asia e Africa).

Non possiamo abituarci alla guerra. Il sangue di Cristo continua a essere versato nel sangue degli uomini che le guerre di ogni tempo e continente feriscono e uccidono. Perché? Come è possibile? San Giovanni Paolo II durante la guerra nei Balcani gridava: «È mai possibile privare un uomo del diritto alla vita e alla sicurezza perché egli non è uno di noi, perché è l’“altro”? Privare una donna del diritto alla sua integrità e alla sua dignità perché non è una di noi, perché è l’“altro”? E, ancora, privare un bambino del diritto a un tetto che lo ripari e del diritto a nutrirsi perché è un bambino che sta dalla parte degli “altri”? “Noi”, “loro”, non siamo forse tutti figli di un solo Dio, suoi figli diletti?» (9 gennaio 1993). La guerra si alimenta della contrapposizione tra il “mio” e il “tuo”, tra un “io” assolutizzato (che cerca vittime e complici) e gli altri. Così tra i popoli, come in famiglia e nei rapporti sociali. Per sconfiggere la guerra occorre preoccuparsi non tanto di preservare i nostri interessi personali o collettivi, ma pensare noi stessi alla luce del bene comune, dentro un respiro comunitario, come parte di un “noi” aperto alla fraternità di tutti.

Siamo venuti qui in pellegrinaggio, e i pellegrini della verità sono sempre pellegrini della pace che si fonda proprio sulla verità e sulla giustizia. Il cammino autenticamente religioso è sempre un cammino di pace perché si mette alla ricerca dell’Altro che è intimo a ciascuno, del Tutto che abbraccia ogni persona. Per tale ragione, mentre ci opponiamo all’uso del nome di Dio per giustificare la guerra e l’omicidio, ci preoccupiamo di risvegliare il senso religioso negli uomini per fronteggiare gli egoismi e i conflitti. L’orizzonte del credente non è certamente quello dei muri e dei fili spinati ma quello dell’accoglienza reciproca come testimonianza della fede e della difesa della dignità della persona umana, conseguenza della fede in un Dio che rende indisponibile il valore della persona e fonda la fraternità universale.

Come autorevolmente afferma il Concilio Ecumenico Vaticano II, il futuro dell’umanità è riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza (Gaudium et Spes n. 31). Il futuro non è nelle mani di chi può spostare le armate, ma di chi commuove il cuore dei giovani. I giovani, infatti, sono oggi chiamati ad essere una “frontiera di pace” contro le trincee dell’odio, perché hanno grandi energie e desideri alti. Della loro forza, del loro entusiasmo, del loro sguardo accogliente possiamo attendere molto. Ha detto Papa Francesco a Marsiglia che i giovani sono «la luce che indica la rotta futura», e che essi «ben formati e orientati a fraternizzare potranno aprire porte insperate di dialogo» (23 settembre 2023). Essi ci invitano a guardare avanti, ad avere visioni lunghe, ci chiedono di osare un vero cambiamento; ad essi chiediamo di aiutarci a trovare modi nuovi per riconoscerci in cammino, uniti nell’impegno per la dignità dell’uomo e per la causa della pace contro ogni specie di menzogna e violenza distruttrice.

Possiamo augurarci che Cagliari e la Sardegna siano protagonisti di pace, nella preghiera costante, nell’accoglienza e nel sostegno delle vittime delle guerre, nella promozione di occasioni di dialogo e di amicizia tra persone e popoli. Ne abbiamo la possibilità e la storia ci consegna questa vocazione nel cuore del Mediterraneo, possiamo tentare di compierla.

Cristo «è la nostra pace» (Ef 2,14). Egli è la ragione della quotidiana fatica che inevitabilmente esige la personale conversione per far prevalere la passione per la vita agli istinti di morte. Egli «ha abbattuto il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia», ha riconciliato i popoli «con Dio in un solo corpo per mezzo della croce» (cf. Ef 2,14-16). La memoria della croce di Cristo e del martirio di Sant’Efisio muova il nostro sguardo e la nostra azione, scuota il nostro torpore e ci renda protagonisti di un mondo nuovo. Questo mondo della verità e dell’amore è responsabilità dell’uomo, della nostra azione quotidiana, ed è dono di Dio, per il quale invochiamo l’intercessione di Sant’Efisio.

 

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