Diocesi Omelie Vescovo

Omelia per la celebrazione di apertura dell’anno pastorale

Omelia per la celebrazione eucaristica d’apertura dell’Anno pastorale 2022-2023. Cattedrale di Cagliari, domenica 9 ottobre 2022 (XXVIII Domenica T.O., Anno C).

2 Re 5,14-17
2 Tm 2,8-13
Lc 17,11-19

 

Fratelli e sorelle amati nel Signore, membri del clero, della vita consacrata e laici,

vi ringrazio per aver accolto l’invito a partecipare a questa celebrazione eucaristica, che non è semplicemente l’atto inaugurale del nuovo anno pastorale, come si apre un anno sociale con qualcosa di solenne: è di più, è l’epifania della comunione e della missione della Chiesa.

Secondo le dense parole del Concilio Vaticano II: «Tutti devono dare la più grande importanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge intorno al vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale, convinti che c’è una speciale manifestazione della Chiesa (praecipua manifestatio Ecclesiae) nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri» (SC 41).

Per questo, vi dico grazie. La celebrazione eucaristica attorno al vescovo mostra e realizza, esprime ed effettua, il mistero di comunione e missione della Chiesa, convocata nell’annuncio e nella celebrazione del mistero pasquale di Cristo morto e risorto. È Cristo risorto, infatti, la sorgente pura della nostra comunione e della novità della sua vita. Il paradigma ideale non può che essere quello degli Atti degli Apostoli: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (2,42-47). Nella liturgia, e in particolare nella celebrazione eucaristica, impariamo continuamente il senso del nostro stare insieme, siamo costituiti in una comunione fondata sulla comune dignità e missione di tutti i battezzati, mirabilmente espressa nell’esercizio ordinato dei loro multiformi carismi, della ricchezza delle loro vocazioni e dei loro vari ministeri. Tutte le volte in cui tutto questo può esprimersi in una medesima preghiera si mostra e si realizza in modo peculiare il mistero della Chiesa.

Cari fratelli, siamo chiamati, anche nel cammino sinodale in cui siamo impegnati, a dilatare la celebrazione eucaristica nello specifico modus vivendi et operandi della Chiesa. Ciò che qui accade deve potersi dilatare e deve diventare il modo in cui la Chiesa, nelle varie comunità, vive e opera manifestando in concreto il suo essere comunione nel camminare insieme, nel radunarsi in assemblea, nell’esercitare la carità e nel partecipare attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice (cf. CTI, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, 2 marzo 2018, n. 2). Che la vita e l’azione della nostra Chiesa di Cagliari sia come una dilatazione della verità della celebrazione eucaristica, in rapporto alla quale avvertire l’esigenza della conversione e del rinnovamento. Il senso del cammino sinodale anzitutto è penitenziale, abbiamo bisogno di conversione non di conferme. Le conferme le danno gli amici o i complici, Dio converte. C’è un’esigenza di conversione e di rinnovamento che trova il suo paradigma nella verità della celebrazione eucaristica. Il tempo ci è dato per questo, l’anno che viene ci è dato per questo. Il Vangelo ci aiuta a comprendere che il tempo ci è dato per camminare. Quanti cammini si incrociano nell’episodio che abbiamo sentito! Gesù camminava verso Gerusalemme e attraversa, continua ad attraversare la nostra vita, le nostre strade, i nostri ambienti. Ma il Vangelo ci racconta soprattutto la fede di quello straniero, del Samaritano che torna a Gesù, lodando Dio a gran voce, prostrandosi davanti a Lui, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Egli è salvo in forza della sua fede. Noi siamo impegnati e dobbiamo impegnarci a dialogare, a intraprendere azioni, ma la questione sottesa al cammino sinodale è anzitutto la fede, la qualità della nostra fede. Non è in gioco semplicemente l’organizzazione o l’efficienza delle nostre strutture, ma la nostra fede, il nostro rapporto con Gesù Maestro, vivo e presente tra noi che continua a camminare e ad attraversare il nostro umano, le nostre relazioni, le circostanze della nostra convivenza.

Osserviamo con attenzione. Come si esprime la fede del Samaritano salvato dalla sua fede?

Egli condivide con tutti gli uomini, almeno con gli altri nove, la domanda di misericordia, va incontro a Gesù insieme agli altri per chiedere pietà: Gesù, maestro, abbi pietà di noi! Si può chiedere pietà perché è il Maestro, perché ha parole buone, efficaci, capaci di cambiare la vita.  Quella del Samaritano è una preghiera che lo rende solidale con gli uomini feriti, con quanti hanno paura della malattia e della morte, con quanti chiedono la guarigione dalle loro ferite e o che sperano in un nuovo futuro, perché sia loro riaperta la comunità degli uomini, con gli uomini che cercano Dio e che magari si sentono esclusi dalla sua benedizione. Abbi pietà. La fede anzitutto ci rende solidali con gli uomini nel cui cuore vi è questa domanda di pietà. Un famoso scrittore, Cesare Pavese, morto suicida nel 1950, nell’ultima pagina di un manoscritto, poco prima della morte scrisse: «O Tu, abbi pietà» (cf. C. PAVESE, Il mestiere di vivere, Einaudi). In tutti gli uomini alberga questa domanda ed è dell’uomo di fede saperla coglierla, leggerla e interpretarla e saperla portare al Maestro. La fede comincia con l’andare verso Gesù con speranza e desiderio, con una domanda che ci fa simili a tutti gli uomini anzi che ci rende portavoce di tutti gli uomini: abbi pietà. Chi non si sente bisognoso, chi non si sente lebbroso, chi non si sente un po’segnato da qualche ferita che deve essere sanata e desideroso di felicità, cosa può dire al Maestro? Di cosa può vantarsi? Abbi pietà.

Andando verso Gerusalemme i dieci sono guariti, e nove di loro vanno a casa, a festeggiare, a raccontare il fatto prodigioso di una pelle risanata, rifatta nuova come quella dei bambini (come abbiamo sentito nella prima lettura). Solo il Samaritano torna da Gesù a ringraziare. Ecco un altro cammino: ritorna a Gesù. Prima va incontro a Gesù per domandare, adesso torna a Lui per ringraziare. Che significa? Perché torna? Perché non si accontenta della guarigione, non si appaga dei doni ricevuti, vuole incontrare il donatore, vuole accogliere la misericordia ricevuta come offerta di amicizia, di rapporto, di compagnia. Il grazie è il primo gesto dell’amicizia. Nove sono guariti, uno è salvato. É salvato chi sa ringraziare e sa ringraziare solo chi è cosciente di godere di ciò che ha ricevuto gratuitamente. Non può ringraziare colui che riceve ciò di cui che pensa di aver diritto, non è un diritto, è pura Grazia. Per questo la consapevolezza della gratuità del dono fa ringraziare e rende lieti, tutti gli altri sono pretenziosi e talvolta pieni di rammarico. Serve la consapevolezza della gratuità dell’amore di Dio. La fede è in questo tornare continuamente da Gesù, tornare a Lui. Che questo anno sia un tornare da Gesù come alla sorgente di ogni bene ricevuto e sperato. Il Samaritano riconosce di poter godere solo di ciò che ha ricevuto gratuitamente e torna a ringraziare. La gratitudine sgorga dalla consapevolezza della gratuità dell’amore di Dio. E ci fa lieti, non pretenziosi e pieni di rammarico. La fede è allora in questo tornare continuamente da Gesù come alla sorgente di ogni bene. Non accontentiamoci delle cose donate, neanche delle cose di chiesa, perché Dio è di più delle cose che Egli può donare, è un Mistero più grande. Cerchiamo il Donatore. Non possiamo appagarci delle cose che Gesù ci dona: il conforto di una amicizia, la bontà di un impegno, la gratificazione di un sentimento, Dio non voglia, il potere di un ruolo. Cerchiamo Gesù vivo, presente. È Lui la pietà che abbiamo domandato. Quando chiediamo pietà in fondo non chiediamo cose, chiediamo la sua vita. Non possiamo soddisfarci che del Misericordioso, dell’amicizia con Lui. Dove sono gli altri nove? E noi dove siamo? Ci siamo attardati forse anche noi sulle conseguenze affettive, sociali o psicologiche del cristianesimo rinunciando alla gioia dell’incontro con Cristo? É una gioia che può riscaldare il cuore nella misura in cui torniamo continuamente a Lui perché Lui è una sorgente inesauribile.

C’è un altro movimento.

Àlzati e va’. Il Samaritano deve andare, deve tornare a casa e al lavoro, deve tornare nel tempio e tra gli uomini, ma non come prima e non come gli altri. Gli altri possono raccontare della guarigione, lui deve raccontare dell’incontro con la Misericordia di quello sguardo. Deve raccontare di una misericordia che ridona dignità e bellezza al vivere. Non parlerà della sua pelle ma dell’incontro con lo sguardo di Dio. Deve andare dagli uomini ma come testimone. Agli uomini che cercano pietà lui potrà testimoniare di averla conosciuta, di averla riconosciuta. L’uomo di fede va tra gli uomini come testimone di misericordia.

Sia così, cari fratelli e amici, il cammino della Chiesa di Cagliari.

Andiamo incontro a Gesù per chiedere la pietà della conversione e del rinnovamento, sentiamoci bisognosi di questa pietà, sentiamo in noi davvero il dolore del male altrimenti anche la domanda della misericordia è viziata da un certo sentimento di autosufficienza. Solo chi sente mordere il dolore del male può con sincerità chiedere pietà e ha bisogno di guarigione, rinnovamento, conversione, salvezza. Mendichiamo la fede e siamo con questo solidali con tutti gli uomini che cercano e desiderano la verità e il bene, sappiamo dialogare con questa domanda che è nel cuore di ogni uomo e sappiamo accompagnare ogni uomo a Gesù, andando incontro a Lui che viene per domandare il dono della guarigione e della salvezza, per mendicare la fede. In questo siamo solidali con tutti gli uomini che cercano e desiderano la verità e il bene.

Torniamo continuamente a Lui per dire il nostro grazie lieto, per rinnovare la nostra fede, la nostra amicizia, la nostra adorazione, di cui il grazie è il primo gesto. «Fortunato colui che a ogni dono torna a colui nel quale c’è la pienezza di tutte le grazie; poiché quando ci mostriamo grati di quanto abbiamo ricevuto, facciamo spazio in noi stessi a un dono anche maggiore» (San Bernardo). Torniamo sempre a Gesù, non accontentiamoci di bere un sorso della sua buona acqua, torniamo sempre alla sorgente. È inesauribile, per questo non smetteremo di tornarvi per dissetarci.

Andiamo verso gli uomini, per testimoniare la gioia dell’incontro con Cristo, non del possesso di qualcosa. L’incontro è sempre l’incontro con il Mistero. È straordinariamente suggestivo che anche la sinassi eucaristica, la grande azione di grazie, inizia con l’annuncio del Dio con noi e con la richiesta di pietà. E si conclude con l’invito ad andare. Al Samaritano era stato detto alzati e va, a noi sarà detto andate in pace. É un invito a cui dobbiamo rispondere con una gratitudine espressa: Rendiamo grazie a Dio. Alla fine della Messa è la nostra gratitudine che apre il Mistero, qui celebrato, alla vita del mondo, è la nostra gratitudine che dilata questo Mistero e permette di investire e di trasformare l’umano. L’eucarestia si apre al mondo e si dilata nella storia nell’invio del Signore e nella gratitudine dei convocati/inviati. Siamo inviati a prenderci cura della casa, della famiglia, della nostra comunità della società, della politica, dei nostri fratelli bisognosi di tutte e delle necessità di questa vita, ma come uomini di fede, uomini incontrati dalla misericordia che attraversa la nostra esistenza.

C’è un altro cammino: Gesù va verso Gerusalemme. Dobbiamo andare non solo incontro a Gesù, non solo ritornare a Lui, non solo essere inviati da Lui ma con Lui andare verso Gerusalemme per dare gloria a Dio nell’amore più grande, nel dono della vita per l’amico e per il peccatore. Una chiesa che non dona sé stessa, un uomo di chiesa che non è pronto a dare la vita per un peccatore, non sta facendo come Gesù, non sta andando con Lui. Gesù va a Gerusalemme per dare gloria a Dio: che questa Gloria sia la nostra unica passione. La gloria di Dio è quando gli uomini accolgono con consapevolezza, libertà e gratitudine la sua presenza in Cristo e la manifestano in tutta la loro vita (cf. PO 2).

Chiediamo al Padre di ferirci con il desiderio di questa gloria.

Il Signore ci doni la grazia, la misericordia e la pace.

Guarda il video dell’omelia

 

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