Omelie

Santa Messa di ringraziamento di fine anno. Omelia dell’Arcivescovo

Cattedrale di Cagliari, 31 dicembre 2020

Santa Messa di ringraziamento in occasione della fine dell’anno solare

 

È davvero suggestivo, cari fratelli, che l’atto liturgico che fa da cerniera tra l’anno che si chiude e il nuovo che avanza sia il canto del Te Deum, che fra poco innalzeremo all’eterno Padre. L’inno si conclude con una preghiera, che è anche una professione di fede: «In te, Domine, speravi: non confundar in aeternum (Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno)». Non saremo confusi, Signore e Padre, perché Tu sei con noi e cammini con noi nel tempo. La compagnia di Dio vince ogni confusione e trasforma il tempo in un bene da accogliere come segno della sua misericordia. Diceva un Padre, Anastasio Sinaita: «Tu, che per natura sei Dio, concedimi il tempo di vivere e il tempo di convertirmi. Vinci la durezza del mio cuore, e correggimi. Concedimi ancora un po’ di tempo, e dammi il modo di salvarmi» (Omelia sul salmo sesto, 3). Concedimi tempo! La misericordia di Dio ci lascia tempo di vivere e di convertirci.

Lo sguardo al futuro è inevitabilmente pieno di attese. Ci rivolgiamo gli uni agli altri augurandoci un anno buono o sereno. Forse non sappiamo neanche noi quale sia il vero oggetto dei nostri auspici. Vogliamo che il tempo ci riservi una vita buona, migliore, più corrispondente ai nostri desideri più profondi di verità e giustizia, di amore e felicità. Ma conosciamo anche il dolore del male e lo abbiamo vissuto.

Abbiamo compreso ancora una volta quest’anno, per la paura e la sofferenza della pandemia, soprattutto, che – come insegna S. Paolo – la creazione geme e soffre fin nelle viscere, come in un parto, perché è stata sottomessa alla caducità (cf. Rm 8, 20-22). Non è forse questa sottomissione quella che chiamiamo fragilità e vulnerabilità? Possiamo romperci e farci ferire perché sottomessi alla caducità. Non è questa caducità che ci fa paura e che temiamo dal futuro? Non è forse la morte ciò di cui abbiamo paura? Il futuro ci fa paura proprio per questa possibilità di male, che vogliamo fuggire.

Eppure dentro la nebbia di questi mesi, come cristiani, abbiamo potuto riconoscere gesti e persone che hanno reso presente, almeno come pegno, la grazia di Dio amore, di Cristo che continua, come buon samaritano, a prendersi cura dell’uomo, facendosi carico delle sue sofferenze. A Natale celebriamo il «sublime scambio che ci ha redenti: la nostra debolezza è assunta dal Verbo, la natura mortale è innalzata a dignità perenne» (Prefazio di Natale III). Guardando l’anno che finisce facciamo memoria dei segni umani di questo sublime scambio. La nostra debolezza è assunta dal Verbo.

San Paolo parla della sofferenza del creato, fin nelle viscere, e della sua «ardente aspettativa» che lo protende verso la rivelazione dei figli di Dio (Rm 8,19). In Cristo partecipiamo alla sofferenza di tutto il mondo, come gli altri, e ci facciamo voce e interpreti della sua ardente attesa. Nella preghiera e nella lotta del vivere, nella carità per i poveri, nella capacità creativa di immaginare un futuro migliore, nella cura per gli infermi, nella ricerca scientifica, nell’attenzione rispettosa e attenta agli uomini nostri fratelli, partecipiamo al desiderio dell’intero creato di una liberazione definitiva, di quel compimento nel quale Dio «asciugherà ogni lacrima dagli occhi e non vi sarà più la morte né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21,4). Partecipiamo alla sofferenza di tutti e sosteniamo l’ardente attesa di tutti di un compimento che può realizzarsi solo in Dio. Il tempo non ci separa dal precipizio del nulla ma si trasforma in un cammino verso la pienezza, nel quale saranno passate le cose che ci fanno soffrire. È la nostra speranza.

Mentre la paura riguarda un male futuro da cui si desidera fuggire, la speranza invita ad attendere e cercare nel futuro un bene promesso. Il futuro custodisce un bene che occorre cercare, e che, misteriosamente, è già presente come promessa e pegno iniziale.

Per tutto questo chiediamo che il Padre ci benedica, custodisca il nostro desiderio e dia frutto alla nostra lotta, ci dia forza d’animo, perseveranza e tenacia nella conquista di una vita migliore, più sicura e buona, e soprattutto rinnovi l’incontro con lui e il suo amore. Perché la presenza di Dio è la benedizione per noi e il nostro più autentico augurio: «Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,24-26). Il volto di Dio è la sua presenza benevola, amica, motivo di pace con noi stessi e gli altri, ragione di energia e forza. Chiediamo che questo incontro si rinnovi e ci trasformi, perché lasciarsi benedire da Dio significa abbandonarsi alla sua fedele e consolante amicizia.

La Madre di Dio ci accompagni, ci custodisca e continui a offrire alla nostra lotta lo sguardo mite e umile del suo Figlio. «In te, Domine, speravi: non confundar in aeternum (Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno)».

Condividi
Skip to content