Il peso delle responsabilità sovrastato da quello della gioia. Un sentimento creatosi con il tempo, dopo un lungo percorso che ha arricchito la propria storia. Don Davide Ambu sarà uno dei tre giovani nuovi sacerdoti che verranno ordinati il prossimo 28 novembre nella Cattedrale di Cagliari. Da Capoterra a Roma, passando per anni di confronto con sé stesso e con la comunità, di dialogo con la fede e di continuo studio, fino al ritorno nella sua isola dove attende ora di iniziare una nuova fase della sua vita.
Don Davide, quali sono le emozioni del momento?
È un groviglio molto intenso di emozioni, perché fra quattro settimane io mi gioco in maniera definitiva per il Signore. Un punto di arrivo o di inizio, non so ben definirlo. Sono sicuramente molto emozionato, anche un po’ spaventato anche dalla ricchezza che ricevo, dalle responsabilità che vengono. Ma è un sentimento che è accompagnato da tanta gioia, da ciò che mi è stato già donato in questi anni e da ciò che arriverà.
Qual è stato il cammino fatto per arrivare sino a oggi?
È stato un percorso lungo una decina d’anni. Le prime avvisaglie della chiamata c’erano già dalla fine delle scuole medie, ma allora come negli anni delle superiori escludevo di diventare sacerdote. Questo nonostante in parrocchia ci fossero delle “provocazioni” da parte di chi mi conosceva e vedeva il mio impegno nel catechismo, in oratorio e nel coro. Non accettavo l’idea, poi si sa che il Signore si serve di tutto per far crollare i muri delle nostre resistenze. La malattia di mio padre e la sua morte in pochi mesi mi hanno scosso parecchio. Dopo un anno di ricerca e di lotta con me stesso ho accettato la strada per la mia felicità che si stava aprendo, quella di diventare sacerdote. L’ho accettata non con poca fatica, ma adesso posso dire che sono contento anche di questi dieci anni di attesa, degli anni di formazione, perché tutto è servito. Non cambierei nulla di quelli che ho scelto o fatto nella mia vita perché tutto, anche i momenti di lotta con Dio, sono stati necessari e fondamentali per essere qua, per essere felice.
Roma è stata una tappa altrettanto fondamentale di questo viaggio. Tutti ricordiamo la partecipazione alla prima Messa di Papa Leone XIV.
Sono stati sei anni molto ricchi, perché Roma è una città dalle tante culture e solo nel collegio in cui vivevo erano rappresentati tutti i continenti. Il culmine dell’esperienza l’ho vissuto proprio con la prima Messa di Papa Leone, durante la quale ho cantato il Vangelo del Primato di Pietro. Un qualcosa di improvviso, che non mi aspettavo. In quelle settimane ero rientrato per rendere omaggio al Papa, poi ho partecipato a diversi eventi della sede vacante. Ho vissuto proprio i momenti anche in cui ci si confrontava e si pregava. Una sera ho ricevuto poi la chiamata dal Collegio in cui mi si diceva che avrei dovuto cantare il Vangelo. Ho studiato una buona parte della notte e di fatto ho cantato davanti al mondo, anche per questo è stata uno dei momenti più importanti di un’esperienza di Chiesa universale che, tra l’altro, non dovrebbe essere terminata, ma solo interrotta per stare un anno in diocesi e poi tornare nella Penisola per concludere gli studi.
L’intervista completa a cura di Matteo Cardia sul numero di Kalaritana Avvenire di domenica 2 novembre. Visita il sito Kalaritanamedia.it
