Omelie Ricorrenze Vescovo

Omelia del Vescovo per la festa di San Saturnino 2025

Omelia per la solennità di San Saturnino, Patrono della Città di Cagliari

Basilica di San Saturnino, 30 ottobre 2025

Sir 51,1-12
1Cor 9,6-10
Gv 12,24-26

Celebriamo l’annuale ricorrenza di San Saturnino, Patrono della Città di Cagliari, mentre l’Anno Santo svolge i suoi ultimi appuntamenti. Della speranza che non delude, alla quale è dedicato questo Giubileo, il nostro giovane martire San Saturnino è testimone luminoso e confortante. Egli, infatti, come tutti i martiri, saldo nella fede, ha rinunciato alla vita terrena pur di non tradire il Signore e giungere alla felice speranza della vita eterna. Studiamo, lavoriamo, sopportiamo qualche disagio, ci impegniamo in famiglia o in politica sempre per qualche speranza, ossia nella speranza di raggiungere un bene desiderato. Troppo spesso, si tratta di speranze effimere, desideri di cose buone ma che svaniscono come «un sogno al mattino» (Sal 90,5). Piuttosto che deluderci, però, l’insufficienza delle cose sperate e ottenute deve spingere l’animo a cercare ancora, a fidarsi dell’aspirazione del cuore che vuole sempre qualcosa di più, d’altro e oltre. Non è una condanna questo nostro desiderio, ma una promessa. Come chiedeva ai giovani il Papa quest’estate, «non inganniamo il nostro cuore» cercando di spegnere la sua sete con «surrogati inefficaci» (Messa per il Giubileo dei Giovani, 3 agosto 2025). Non inganniamo il cuore, non tentiamo di appagarlo o di incantarlo con l’emozione del piacere, con la brama della ricchezza o la vertigine del potere. Come in una spirale, tutto questo, se cercato per se stesso, ci attira, ci seduce ma poi ci lascia vuoti e delusi. Abbiamo la terribile possibilità di ingannare gli altri, ma non possiamo alla lunga ingannare il nostro cuore. La felicità, il gusto, la libertà della vita è solo in un amore che sfonda la dimensione terrena. Cerchiamo ciò che il mondo non può darci, che possiamo certo in terra gustare in questa esistenza, ma solo come pegno, anticipo di quella felicità piena, di quella vita eterna e infinita della quale sentiamo di aver quasi diritto. Che un giovanetto come Saturnino rifiuti di tradire il suo Signore pur di non rinunciare al suo grande amore, l’unico che spiega il senso del vivere e suscita la speranza dell’eternità, ci conforta e ci indica la strada. La nostra speranza è Gesù, risorto da morte, che dà alla vita un senso, ossia una direzione, un orizzonte di valore eterno, insieme a un compito, una vocazione che non possiamo disertare per paura. L’unica cosa che dobbiamo temere è la sterilità della nostra speranza, se non è inverata dall’entusiasmo e dal sacrificio della sequela. C’è, d’altra parte, qualcosa, un affetto o una intuizione, che può crescere senza la fedeltà di un impegno e senza sacrificio? E colui che «ha il potere di far abbondare in noi ogni grazia» (2Cor 9,8) non merita la più grande dedizione di fedeltà?

Diceva a Tor Vergata il Papa: «È bello, anche a vent’anni, spalancargli il cuore, permettergli di entrare, per poi avventurarci con Lui verso gli spazi eterni dell’infinito». L’ampiezza della nostra speranza, allora, è tutt’uno con lo spalancare il cuore a Colui che la suscita, la sostiene e la compie. Aspiriamo a cose più grandi del mondo intero («Quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?», Lc 9,25) e apriamo il cuore alla persona di Gesù che chiede solo di essere seguita, di avere spazio nel nostro cuore. C’è il martirio della morte accettata, e per noi c’è il martirio di una fedeltà continua, fino all’ultimo respiro, giorno per giorno.

Ciascuno conosce il modo in cui la speranza di Gesù ha fatto breccia nel proprio cuore, forse un incontro, il racconto di un amico, l’eredità del nostro popolo o la consegna della famiglia. Non importa. Quel che davvero importa, come afferma Gesù e come accadde per Saturnino, è la generosità con cui rischiamo tutto per non rinunciarci, allargando in noi lo spazio della sua presenza, della sua parola. Davanti a tutti, davanti al mondo. Non cresce la fede se non diventa il nostro volto di fronte agli uomini, se non corriamo il rischio che questa immedesimazione d’amore comporta.

Papa Francesco, proprio nella Bolla di indizione del Giubileo, ha detto dei martiri: «Abbiamo bisogno di custodire la loro testimonianza per rendere feconda la nostra speranza» (Spes non confundit, n. 20). Cosa può rendere feconda la speranza? L’abbiamo sentito nel Vangelo: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,24-25).

Preghiamo San Saturnino per la nostra città e i suoi giovani. Sia feconda la loro e la nostra speranza.

 

 

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