Messaggi Omelie Vescovo

San Saturnino 2025. Messaggio dell’Arcivescovo alla Città di Cagliari

San Saturnino 2025
Messaggio alla Città

Giubileo dei governanti e degli amministratori

Primi Vespri, Basilica di San Saturnino, 29 ottobre 2025

 

 

Cari confratelli nel sacerdozio,

Gentili autorità civili e militari,

Fratelli e sorelle tutti in Cristo,

  1. In preghiera per chi governa

Abbiamo desiderato che l’annuale festa di San Saturnino si associasse al Giubileo diocesano dei governanti e degli amministratori. È, da parte della Chiesa, un’attenzione sincera per un compito grande che questi uomini si assumono a favore del nostro popolo.

Di fronte al destino della città, Gesù mostra una compassione che giunge alle lacrime (cf. Lc 19,41), per indicare con ogni chiarezza che la pietà cristiana ha una profonda implicazione nell’amore alla patria, al proprio popolo, in funzione del benessere terreno e del bene eterno. Se è vero che «non c’è autorità se non da Dio» (Rm 13,1. Cf. 1Pt 2,13-15), uniamo la nostra voce alla preghiera della Chiesa per chiunque eserciti un potere, memori della parola dell’Apostolo: «Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio» (1Tm 2,1-2). E pregate anche voi insieme a noi, perché il Signore vi conceda la luce chiesta dal re Salomone, consapevole dell’impegno arduo di governare popoli e nazioni. Per giudicare con giustizia, per guidare con prudenza, per essere protetto nella propria azione, Salomone domandò il dono della Sapienza (cf. Sap. 9). Che questa vi assista e vi affianchi nella fatica del governo. La sapienza vale più del potere e del successo effimero. La Chiesa vi offre anzitutto la semplicità e la forza della preghiera.

Non farò un elenco dei mali della politica e del governo, ma parlerò della sua grandezza e importanza quando è vissuta come servizio, a imitazione del Figlio dell’uomo: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,42-45). Chi ama Gesù è chiamato a seguirne le orme, vivendo e mostrando al mondo un altro modo di governare, non definito dalla logica del dominio e dell’oppressione ma dalla novità gratuita del servizio.

  1. La vocazione della politica

La Chiesa sente anzitutto il dovere di indicare a tutti il valore della politica che «è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune» (Francesco, Lettera enciclica Fratelli tutti, 3 ottobre 2020, n. 180). L’amore è volontà e azione di bene che non può riguardare solo i rapporti tra singole persone o piccoli gruppi ma si apre sempre alla possibilità di trasformare le relazioni e i sistemi sociali, economici e politici per realizzare il bene umano in ogni contesto. L’impegno politico, in tal senso, afferma l’esigenza e l’ideale di un cambiamento, il senso di una appartenenza, la passione per raggiungere mete che danno dignità all’agire delle persone e delle comunità. Se vissuto come vocazione d’amore, esso è parte del cammino di felicità di chi, percependo la situazione in cui vivono gli uomini, rifiutandosi di far finta di non vedere e non sentire, vuol modificare la storia per renderla più adeguata alla dignità della persona, più corrispondete alle sue grandi speranze. La politica ha bisogno di speranza, ossia della visione e del desiderio di un bene futuro e grande, in relazione al quale disporre le cose presenti. Senza amore e senza grandi speranze, la politica diventa inevitabilmente attaccamento a se stessi e dominio sugli altri.

  1. La libertà della partecipazione

Per questa altissima vocazione, la politica non può essere disertata dai cristiani, chiamati a collaborare con tutti per tendere a una più perfetta giustizia, a una democrazia più partecipata, a una società più solidale. Respingendo gli atteggiamenti di indifferenza o di passiva rassegnazione, serve ribadire che la partecipazione alla vita pubblica è un dovere, un atto di amore per il nostro popolo e di responsabilità verso il suo futuro. È un dovere per tutti, che occorre favorire. San Giovanni Paolo II parlava di quello spirito d’iniziativa che deve caratterizzare «la soggettività creativa del cittadino», che mai può considerarsi “oggetto” dell’azione pubblica ma sempre “soggetto creativo” del bene di tutto il popolo (cf. Lett. enc. Sollicitudo Rei Socialis, 30 dicembre 1987, n. 15). Proprio per favorire questa insopprimibile responsabilità la Chiesa promuove il principio di sussidiarietà, espressione dell’inalienabile libertà umana. «La sussidiarietà rispetta la dignità della persona, nella quale vede un soggetto sempre capace di dare qualcosa agli altri. Riconoscendo nella reciprocità l’intima costituzione dell’essere umano, la sussidiarietà è l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista» (Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 29 giugno 2009, n. 57). L’assistenzialismo vede nell’uomo l’oggetto della propria azione, il principio di sussidiarietà un soggetto libero e responsabile, sempre capace di fare e donare qualcosa per gli altri. È oltremodo interessante che anche la Corte Costituzionale ha più volte riconosciuto che il principio di sussidiarietà, nel sistema giuridico del Paese, è un’esplicazione della «profonda socialità» che connota la persona umana (sentenza n. 228 del 2004) e della possibilità di realizzare una «azione positiva e responsabile» (sentenza n. 75 del 1992). Abbiamo bisogno di credenti e persone di buona volontà che, nei piccoli e nei grandi gesti, si facciano carico del bene di tutti, del destino di un intero popolo.

  1. Solidarietà e sussidiarietà

L’azione responsabile e solidale delle singole persone ha dato origine, anche nella nostra Isola, a una rete di azioni e opere di mutualità e solidarietà, che ha molto inciso nel nostro tessuto sociale. Per promuovere la dignità della persona occorre allora promuovere l’azione solidale delle comunità, delle famiglie, dei gruppi, delle associazioni, del volontariato, delle realtà territoriali, delle parrocchie, in breve di tutte le espressioni aggregative alle quali le persone danno spontaneamente vita o alle quali liberamente aderiscono. La partecipazione delle “reti comunitarie” alla cura dei più fragili, d’altra parte, costituisce una dimensione strategica per l’efficacia e la sostenibilità del nostro welfare. È bene ribadire con forza che non può esserci cammino di solidarietà e di cura senza il contributo dei cosiddetti corpi intermedi. Le comunità devono poter essere protagoniste del proprio riscatto e della costruzione del proprio futuro. Pensiamo allo sviluppo e alla potenzialità della riforma del Terzo settore la cui finalità è quella di sostenere l’autonoma iniziativa dei cittadini nel perseguire il bene comune, favorendo la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona. La Chiesa, per quanto abbiamo detto, non può che guardare con attenzione a tutte le riforme che tendono a favorire iniziative di solidarietà e a sviluppare gli strumenti di co-progettazione e co-programmazione che, come anche la Corte Costituzionale riconosce, devono essere «valorizzati come la chiave di volta di un nuovo rapporto collaborativo con i soggetti pubblici» (sentenza n. 131 del 2020). L’amore al bene comune deve spingere la politica a promuovere e valorizzare i soggetti che rappresentano nelle nostre città quella “società solidale” che da sola nessuna azione statale può assicurare e che semmai richiede una convergenza di obiettivi e di risorse di enti pubblici e privati che vanno al di là sia della contrapposizione che dello scambio utilitaristico. La novità sociale viene sia da un faticoso coordinamento delle scelte individuali di responsabilità sociale, sia dall’azione di soggetti reali che abitano lo spazio pubblico, sia dalla lungimiranza di azioni pubbliche di garanzia, guida, sostegno e, se serve, di supplenza.

  1. Le scelte dei cattolici

Dalla concretezza delle realizzazioni storiche e dalla diversità delle opinioni, scaturisce la varietà degli orientamenti che possono essere assunti, purché moralmente accettabili, dai cattolici. La legittimità di un certo pluralismo politico dei cattolici si coniuga con l’invito alla loro coerenza con quei principi e valori sociali che, nel corso dei secoli, e alla luce del Vangelo, la Chiesa ha sviluppato: la dignità della persona, il bene comune, la difesa della vita, l’opzione preferenziale per i poveri, la destinazione universale dei beni, la solidarietà, la sussidiarietà, la cura per la nostra casa comune. Si tratta di espressioni sociali delle virtù della fede, della speranza e dell’amore, che non sono meri sentimenti individuali ma piuttosto qualità idonee alla trasformazione del mondo. Nella loro azione, i cattolici collaborano con tutti, ben consapevoli che «il mondo della ragione ed il mondo della fede – il mondo della secolarità razionale e il mondo del credo religioso – hanno bisogno l’uno dell’altro e non dovrebbero avere timore di entrare in un profondo e continuo dialogo, per il bene della nostra civiltà», come affermava Benedetto XVI a Londra (Incontro con le autorità civili, City of Westminster, 17 settembre 2010). Se il dialogo è il modo normale del rapporto con chi è portatore di un’altra idea dell’uomo e della società, sappiamo bene che a volte i cristiani possono trovarsi di fronte a scelte drammatiche. Talvolta può essere richiesto un sostegno a leggi imperfette per limitare i danni di provvedimenti ancora più negativi, talaltra può essere necessario far prevalere la propria coscienza, sapendo dire e argomentare il proprio rifiuto. Diceva papa Leone XIV: «Sono ben consapevole che l’impegno apertamente cristiano di un responsabile pubblico non è facile, in particolare in certe società occidentali in cui Cristo e la sua Chiesa sono emarginati, spesso ignorati, a volte ridicolizzati. Non ignoro neppure le pressioni, le direttive di partito, le “colonizzazioni ideologiche” — per riprendere una felice espressione di Papa Francesco —, a cui gli uomini politici sono sottoposti. Devono avere coraggio: il coraggio di dire a volte “no, non posso!”, quando è in gioco la verità» (A una Delegazione di Personalità Politiche dalla Francia, 28 agosto 2025). In questi casi, particolarmente, la decisione politica diviene una forma onerosa di testimonianza.

Poiché la politica è sempre fondata su una certa visione delle cose, diceva Benedetto XVI che «il contributo dei cristiani è decisivo solo se l’intelligenza della fede diventa intelligenza della realtà, chiave di giudizio e di trasformazione» (Ai partecipanti alla 24a Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici, 21 maggio 2010). Tale “intelligenza della realtà” non può che formarsi nel dialogo con gli altri. Forse, come Chiesa, possiamo fare di più e offrire a tutti, e in particolare alle persone di formazione cristiana che si impegnano in politica, a diversi livelli e nei diversi schieramenti, la possibilità di affinare questa intelligenza della realtà in un confronto libero. Per questo, vorrei invitarvi, venerdì 16 gennaio, a un’assemblea per condividere riflessioni ed esperienze e ricercare possibili campi di collaborazione per il bene comune oggi, in Italia e nel mondo, e qui in Sardegna. In prospettiva mi piacerebbe dar corso a una serie di incontri sulla dottrina sociale della Chiesa.

  1. Sfide decisive

Sono molte e urgenti le questioni da affrontare in Sardegna con decisione e competenza. Nell’incontro regionale della Pastorale Sociale e del lavoro tenutosi a Cagliari nel novembre 2024 si indicavano tre priorità: il lavoro, soprattutto giovanile; la politica per le aree interne, per evitare che siano soggette ad una sorta di abbandono terapeutico; la cura dell’ambiente e la scommessa dell’educazione come fonte di rinascita e riscatto. Occorre riannodare quel filo di dialogo e tentare di mettere a terra qualche tentativo condiviso. Si può aggiungere che la storia e la geografia chiamano la Sardegna ad essere protagonista di una politica di pace e di cooperazione tra i popoli nell’area del Mediterraneo. La politica deve anche saper esaltare aspetti non riducibili a quelli economici: la dimensione dell’appartenenza, dell’amore, della bellezza, della cultura, aspetti tutti che definiscono l’identità di una comunità. Ecco, in sintesi, la politica è chiamata a custodire e a dare un futuro all’identità, al patrimonio di lavoro e cultura, delle nostre comunità.

I cristiani poi devono particolarmente contribuire, in un clima di esasperata polarizzazione, alla costituzione di uno spazio comunitario di confronto nel quale la soluzione dei problemi possa maturare con la collaborazione di tutti e nel riconoscimento del valore di ciascuno. All’interno di un dialogo corale e sincero, la passione di ciascuna parte politica potrà tramutarsi nel sentimento di una impresa comune per il bene del popolo.

  1. Rapporto Chiesa e Stato

La Chiesa non cerca egemonia o privilegi, ma resta ancorata alla solida formulazione, realizzata anche con il contributo della Conferenza Episcopale, dell’art. 1 dell’Accordo di Revisione dei Patti Lateranensi del 1984 che riconosce allo Stato e alla Chiesa cattolica, ciascuno nel proprio ordine, indipendenza e sovranità, impegnandoli sia al pieno rispetto di tale principio sia alla «reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese». È un rapporto di libertà e di cooperazione, e non più di unione, al quale ha fatto riferimento Leone XIV nella visita al Presidente della Repubblica lo scorso 14 ottobre, a favore del «bene comune, a servizio della persona umana, la cui dignità inviolabile deve sempre stare al primo posto nei processi decisionali e nell’agire, a tutti i livelli, per lo sviluppo sociale, specialmente per la tutela dei più fragili e bisognosi». Per tale obiettivo di crescita e di solidarietà, soprattutto per i più poveri, la collaborazione della Diocesi di Cagliari nei riguardi delle diverse istituzioni civili vuol essere sempre aperta e generosa.

  1. Il cristiano politico. Tommaso Moro

Nell’incontro citato con la delegazione di politici cattolici francesi, Papa Leone ha dato questo unico suggerimento, quello di «unirvi sempre più a Gesù, di viverne e di testimoniarlo. Non c’è separazione nella personalità di un personaggio pubblico: non c’è da una parte l’uomo politico e dall’altra il cristiano. Ma c’è l’uomo politico che, sotto lo sguardo di Dio e della sua coscienza, vive cristianamente i propri impegni e le proprie responsabilità!». Non c’è separazione ma armonia tra i diversi impegni nel cuore di un credente. Un grande santo può aiutarci.

Durante lo svolgimento dello scorso Giubileo Ordinario dell’anno 2000, San Giovanni Paolo II ha proclamato patrono dei governanti e dei politici San Tommaso Moro, che visse una straordinaria carriera politica e amministrativa nel suo Paese, fino a essere nominato da Enrico VIII, nel 1529, Lord Cancelliere del regno d’Inghilterra, primo laico a ricoprire questa carica. Quando il re volle assumere il controllo sulla Chiesa in Inghilterra, si dimise ritirandosi dalla vita pubblica. Nel 1534 venne imprigionato nella Torre di Londra e quindi, a causa del suo rifiuto di venire a compromesso con la sua coscienza, venne condannato per alto tradimento e decapitato il 6 luglio 1535. Egli sempre «pose la propria attività pubblica al servizio della persona, specialmente se debole o povera; gestì le controversie sociali con squisito senso d’equità; tutelò la famiglia e la difese con strenuo impegno; promosse l’educazione integrale della gioventù» (Lett. Ap. M.P. E Sancti Thomae Mori, 31 ottobre 2000, n. 4). Durante il processo aveva affermato: «Ho riconosciuto a tutti il diritto di decidere liberamente, secondo la loro coscienza, allo stesso modo ritengo di avere il diritto di decidere liberamente, secondo la mia». Prima di morire venne pregato dal Re di pronunciare poche parole e allora disse: «Chiedo di pregare per me. Testimoniate che sono morto nella fede e per la fede della santa chiesa cattolica. Muoio fedele servo del re, ma prima servo di Dio». Bellissime le lettere ai familiari e in particolare alla figlia Margherita. Ecco, auguro ai governanti e agli amministratori di poter dire ai figli e ai nipoti, come San Tommaso Moro, di essere stati coerenti nell’obbedienza al dettato della coscienza; di esser stati mossi dalla passione per la verità che sempre deve avere il primato sul desiderio e la logica del potere; di aver svolto un’azione pubblica unicamente al servizio alla persona umana.

Preghiamo per voi. Vi aiuti Maria, fonte della sapienza.

 

 

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