Di fronte all’approvazione della legge regionale sul suicidio medicalmente assistito, l’arcivescovo monsignor Giuseppe Baturi richiama con fermezza il valore della vita e l’urgenza di promuovere una cultura della cura e della prossimità.
+++ Dichiarazioni +++
Esprimo rammarico per l’approvazione del testo di legge «Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019».
Come ricordato dalla Presidenza della Cei, «sulla vita non ci possono essere polarizzazioni o giochi al ribasso»: l’auspicio è che «nell’attuale assetto giuridico-normativo si giunga, a livello nazionale, a interventi che tutelino nel miglior modo possibile la vita, favoriscano l’accompagnamento e la cura nella malattia, sostengano le famiglie nelle situazioni di sofferenza».
Più che agevolare la morte e creare condizioni per cui la si scelga, dunque, c’è bisogno di garantire cure anche quando non c’è guarigione, di non abbandonare nessuno, di assicurare cure palliative in modo uniforme ed efficace come, peraltro, previsto dal recente «Piano di potenziamento della Rete regionale».
L’approvazione odierna stride con questa volontà di potenziamento e rilancio tesa a promuovere il concetto di «cura totale», comprensivo dell’integrità fisica, degli aspetti affettivi, della cura domiciliare, della terapia del dolore e del coinvolgimento del terzo settore. Qui il riferimento è alle reti comunitarie capaci di sviluppare empatia, amore per la persona, di contrastare l’acuirsi del disagio: la parrocchia, le associazioni, gli amici. La Chiesa continua a fare la propria parte, ribadendo – con le parole e con azioni di prossimità – la dignità di ogni essere umano, a prescindere dall’efficienza e dall’età. La volontà e il fermo desiderio di stare accanto alle persone che soffrono. Non dobbiamo smarrire il senso dell’umanità!
+ Giuseppe Baturi
Arcivescovo