Omelia del Vescovo per l’Ordinazione presbiterale di don Ambu, don Mulliri e don Vacca

Cattedrale di Cagliari
Sabato 29 novembre 2025

Is 61,1-3a
2Cor 4,1-2.5-7
Mt 9,35-38

Carissimi don Davide, don Samuele e don Lorenzo, insieme a voi, alle vostre famiglie, che saluto con gratitudine, e alle vostre comunità ecclesiali e civili, qui rappresentate dai sindaci, che saluto con deferenza, gioisce la Santa Chiesa di Cagliari e l’intera comunione ecclesiale.

La Preghiera di Ordinazione invoca la misericordia del Signore perché, in quanto cooperatori dell’ordine episcopale, possiate far giungere la parola del Vangelo fino alla profondità del cuore degli uomini e fino ai confini della terra; perché siate dispensatori dei misteri di Dio, rinnovando e nutrendo il popolo, riconciliando i peccatori e sostenendo i malati; perché possiate implorare la misericordia del Signore per il popolo a voi affidato; perché siate sempre motivo di unità dell’unico popolo di Dio, riunendo in Cristo la moltitudine delle genti. Il presbitero è infatti l’uomo che annuncia la Parola, che dispensa i misteri, che implora la misericordia, che raduna il popolo.

Pregherò perché possiate ricevere l’effusione dello Spirito di santità per poter adempiere il ministero che vi è affidato per grazia, in quanto «questa straordinaria potenza appartiene a Dio» (2Cor 4,7), fedelmente guidando il popolo cristiano con una integra condotta di vita. La fedeltà, che si distende nel tempo, richiede infatti lo Spirito di santità, ossia la preghiera, l’impegno, la volontà e la grazia della santità. Il ministero è saldamente legato alla vita, in quanto suggerisce alla vostra vita la ragione, il senso, la forza e la guida. È il ministero che tiene in piedi l’esistenza sacerdotale.

Il ministero e l’esistenza dei presbiteri sono interamente fondati su Gesù Cristo, che nella loro persona continua così la sua presenza di salvezza. Lasciate che l’azione dello Spirito Santo vi fondi in Lui. Il Prefazio di questa Santa Messa prega il Padre: «Tu proponi loro come modello il Cristo, / perché donando la vita per te e per i fratelli, / si sforzino di conformarsi all’immagine del tuo Figlio, / e rendano testimonianza di fedeltà e di amore generoso». Cristo è il modello, l’immagine alla quale si conforma la vita in una donazione che ha per scopo la gloria di Dio e la salvezza dei fratelli. In noi è Cristo che continua a offrire se stesso al Padre e a donarsi ai fratelli. Consegnando il pane e il vino vi chiederò di conformare la vostra vita «al mistero della croce di Cristo Signore». Mistero di amore e sacrificio, di dolore e morte per la vita che fiorisce senza fine; mistero di un Dio che svuota se stesso per accogliere ogni uomo nell’abbraccio di quelle mani inchiodate e per sempre aperte.

Non conformatevi alla mentalità di questo mondo che pensa alla riuscita della vita come a una sorta di celebrazione del proprio “io”, tanto dilatato da restare solo e sterile (la solitudine è la vera “pena” dell’egocentrismo), ma siate testimoni dello “scandalo” di quel chicco di grano che per dare frutto e far germogliare la compagnia cristiana accetta di morire, di stare nella profondità della terra come germe di risurrezione (cf. Gv 12,24). Il seme parla di chi lo ha piantato e della speranza del futuro, dell’azione del Risorto. La vera fecondità pastorale è in questa umile e a volte dolorosa, ma sempre grata e lieta, conformazione al mistero di Cristo crocifisso e risorto. «Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1,21). Il presbitero vive per un Altro, e per lui si fa servo di tutti. «Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù» (2Cor 4,5).

L’unica vera promessa che adesso corrisponde al dono di Dio è di lasciarvi conformare all’immagine di Cristo e al mistero della sua Croce. Di questa testimonianza la Chiesa e il mondo ha urgente e gravissimo bisogno. Questo nostro mondo ha bisogno di Dio, ha bisogno di poterlo incontrare, vedere e seguire nel volto vicino del suo Figlio, ha bisogno di incrociare ancora il suo sguardo di compassione, di udire la sua parola di vita, di poter godere del suo amore che guarisce esistenze altrimenti senza speranza (Mt 9,35-36).

«La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!» (Mt 9,37). Papa Leone spiegava recentemente questo detto del Signore: «Dio, come un seminatore, con generosità è uscito nel mondo a seminare e ha messo nel cuore dell’uomo e della storia il desiderio dell’infinito, di una vita piena, di una salvezza che lo liberi. E perciò la messe è molta, il Regno di Dio come un seme germoglia nel terreno e le donne e gli uomini di oggi, anche quando sembrano travolti da tante altre cose, attendono una verità più grande, sono alla ricerca di un significato più pieno per la loro vita, desiderano la giustizia, si portano dentro un anelito di vita eterna».

Dio semina sempre nel cuore degli uomini, come testimoniano la loro inquietudine, l’indomita ricerca e il desiderio. Non è cristiana una lettura della storia che vede solo buio, che non si accorge della semina generosa che Dio opera. Ma allora perché gli operai sono pochi, e qual è il compito di quelli che vengono chiamati e mandati a lavorare nel campo del Signore? Continua Leone: «Sono pochi gli operai che vanno a lavorare nel campo seminato dal Signore e che, prima ancora, sono capaci di riconoscere, con gli occhi di Gesù, il buon grano pronto per la mietitura (cfr Gv 4,35-38). C’è qualcosa di grande che il Signore vuole fare nella nostra vita e nella storia dell’umanità, ma pochi sono quelli che se ne accorgono, che si fermano per accogliere il dono, che lo annunciano e lo portano agli altri» (Angelus, 6 luglio 2025). Siamo chiamati non a proporre noi stessi ma ad annunciare e comunicare un Dio che ha già preparato il cuore degli uomini all’attesa. Per annunciare Dio, allora, occorre riconoscere la sua opera e la capacità di leggere nel profondo del cuore umano la nostalgia di Lui.

L’operaio inviato dalla misericordia del Signore agli uomini al tempo stesso annuncia Dio e svela all’uomo il suo mistero. Come nella giornata raccontata dal Vangelo, le folle, anche quelle di quest’oggi così incerto e turbato, attendono la compassione, la parola, la pienezza che lo sguardo del Signore già prometteva. «Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore» (Mt 9,36). Le folle hanno bisogno non anzitutto della nostra efficienza, perché siamo solo «vasi di creta» (2Cor 4,7) ma della compassione di Cristo. Ne hanno bisogno i popoli in conflitto, i giovani che muoiono nei campi di battaglia, ne hanno bisogno coloro che attraversano la soglia di un ospedale o che passano le giornate nel chiuso di una cella di carcere. Tutti gli uomini hanno bisogno della compassione di Cristo. Lo smarrimento della folla non richiede anzitutto il giudizio severo dei pastori ma il loro sguardo di compassione, quello che conduce al dono della vita. La compassione di Gesù lo spinse fin sul legno della croce. Lo smarrimento delle folle richiede l’offerta della nostra vita.

Carissimi Davide, Samuele e Lorenzo, non dimenticate che la fecondità della vita e del ministero sacerdotale è solo nel vivere, senza riserve e condizioni, «per Cristo, con Cristo e in Cristo». Il nostro io, con i suoi gusti e le sue storie, le sue capacità e ricchezze, è attirato e trasfigurato nell’unione di ministero e vita, nella consumazione d’amore a Cristo e ai fratelli, fino alla fine, fino all’ultimo respiro. «Qui sta la gioia, la libertà, la grazia, la giovinezza eterna!» (P. Claudel). La gioia, la libertà, la grazia e la giovinezza che contempliamo nel volto di Maria, alla quale affidiamo la vostra vita e il vostro ministero.

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