Omelia dell’Arcivescovo per l’ordinazioe diaconale di Enrico Muscas e Leonardo Piras

Ordinazione diaconale

di don Enrico Muscas e di don Leonardo Piras

Solennità dell’Immacolata Concezione

della Beata Vergine Maria

Basilica Cattedrale di Cagliari, 8 dicembre 2025

 

 

 

«Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Nella voce della Vergine, risuona sulla terra l’eccomi d’amore e obbedienza pronunciato dal Figlio di Dio nel silenzio dell’eternità: «Entrando nel mondo, Cristo dice: […] Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”» (Eb 10,5.7). In ogni eccomi ripetuto nel corpo di Cristo che è la Chiesa, risuona quel primo e definivo eccomi del Figlio chiamato a fare, nel suo corpo, la volontà del Padre per la salvezza degli uomini.

Non diversamente da quanto accade quel giorno nella casa di Nazaret, anche adesso la scelta di Dio ha ricevuto la risposta di un eccomi. Avete detto così rispondendo al diacono che vi ha chiesto di presentarvi davanti al Vescovo e all’assemblea qui radunata. Subito dopo è avvenuto un dialogo circa la certezza maturata attraverso la raccolta delle informazioni che vi riguardano. Il Vescovo, alla fine, ha pronunciato le parole dell’elezione: «Con l’aiuto di Dio e di Gesù Cristo nostro Salvatore, noi scegliamo questi nostri fratelli per l’ordine del diaconato». L’eccomi è una risposta alla chiamata gratuita di Dio che vi raggiunge attraverso la voce della Chiesa, ma non realizza ancora, da sola, la vocazione se non in quanto si combina con la scelta della Chiesa, che deve riconoscerla e confermarla («noi scegliamo»). La vocazione la si riceve da Dio che la consegna attraverso le mani della Chiesa. La consacrazione in fondo è tutta nella fedeltà a Dio che chiama; alla Chiesa che riconosce e conferma; agli uomini ai quali siamo presentati e inviati; a noi stessi che avendo pronunciato il nostro eccomi abbiamo impegnato la vita intera in una obbedienza totale, particolarmente significata dall’ultima promessa fatta nelle mani del Vescovo. Il venire meno alla vocazione è sempre anche un’infedeltà a se stessi. Il mirabile convergere della volontà di Dio, dell’azione della Chiesa, delle attese degli uomini e della propria disponibilità, dà gioia e fecondità all’esistenza e al ministero delle persone consacrate.

La Vergine Maria ci insegna anche che la fedeltà si nutre della continua ricerca della volontà di Dio dentro le circostanze della storia: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Lc 1,34). Diceva San Giovanni Paolo II, in una omelia che non smetto di meditare: «Maria fu fedele anzitutto quando, con amore, si mise a cercare il senso profondo del disegno di Dio in lei e per il mondo. […] Non ci sarà fedeltà se non ci sarà nella radice questa ardente, paziente e generosa ricerca; se non si troverà nel cuore dell’uomo una domanda, per la quale solo Dio offre risposta, dico meglio, per la quale solo Dio è la risposta» (26.01.1979). Cercare, domandare il “volto del Signore” nella nostra vita, come mendicanti, anzi come pellegrini e discepoli, è la prima condizione della fedeltà. Maria ha vissuto la sua esistenza di serva del Signore ricercando, seguendo sempre, passo dopo passo, il figlio Gesù nel suo «materno pellegrinaggio di fede» (Redemptoris Mater, 26). Non c’è altra strada di fedeltà che questa sequela umile, che non pone condizioni e misura. Per indicare la via ad altri bisogna che noi seguiamo; per essere maestri è necessario non smettere di essere discepoli; per poter generare nella fede, serve restare sempre figli. Quante esistenze perdono fervore e diventano sterili per il venire meno di questa ricerca sincera. Anche noi, cari confratelli, siamo esposti a questo rischio, noi che abbiamo studiato, che conosciamo la dottrina, che forse sappiano come rispondere, ma che talvolta abbiamo smarrito la domanda, la sincera ricerca della volontà di Dio, e perciò lo stupore dell’annuncio che continuamente l’angelo di Dio ci reca. Il cuore immacolato di Maria vi custodisca, cari Enrico e Leonardo, in questa ricerca e apra il nostro cuore allo stupore della fede. «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19).

«Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Il Dio-con-noi richiede la collaborazione di servi, non di potenti e ricchi; di persone umili, non di efficienti presuntosi, quelli che sanno tutto, prima e meglio degli altri. A Nazaret l’angelo cerca una serva umile e povera. Maria è povera perché ricca solo della scelta di Dio che «ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,48). Per essere diaconi autentici occorre essere poveri di quella povertà che può vantare solo la ricchezza di questo sguardo d’amore dell’Onnipotente.

Il ministero dei diaconi è, in fondo, render presente nel mondo, attraverso la propria credibile testimonianza, il mistero del «Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mt 20,28). Come annunciare questo mistero d’amore se non dando testimonianza nella vostra vita e nelle azioni ministeriali di questo servizio di riscatto per i fratelli? Può un Dio che si fa servo essere annunciato da un ministro che si fa potente? Può un Dio venuto per dare la vita essere manifestato da uomini che amano solo se stessi? Poiché Dio mostra la sua onnipotenza proprio in questo farsi servo e dare la vita, noi non possiamo parlarne al mondo che assumendo i suoi stessi sentimenti, e imitando la sua scelta di amore, come Maria, senza condizioni e senza limiti.

Un giorno, Giovanni mandò da Gesù i suoi discepoli a chiedergli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». È la domanda che il mondo continua a rivolgerci e che non a caso ha aperto il tempo di Avvento. Noi possiamo rispondere solo come lui fece quel giorno: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo» (Mt 11,4-6). Nella vostra vita e ministero gli uomini possano vedere e udire proprio questi segni: il Vangelo annunciato ai poveri, i malati accolti, gli zoppi accompagnati, i feriti risanati, i sordi ricominciare a udire parola di verità e speranza. La grande scena del giudizio finale sia per voi, cari Enrico e Leonardo, il riferimento di vita e ministero (cf. Mt 25,46). Dice Papa Leone, che per entrare davvero nel mistero dell’incarnazione, «bisogna specificare che il Signore si fa carne che ha fame, che ha sete, che è malata, carcerata» (Dilexi te, 110). Andare incontro ai poveri (materialmente e spiritualmente) è accogliere la carne di Cristo.

«Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Rispondendo all’angelo che l’aveva chiamata «piena di grazia», la Vergine di Nazaret si definisce «serva del Signore». Il suo nome è la sua missione. La piena di grazia è la serva che desidera con gioia il compirsi della salvezza annunciata. Non è una parola di rassegnazione, quella di Maria è una preghiera che esprime il desiderio di partecipare alla realizzazione della salvezza del mondo, accogliendo, custodendo e servendo il Verbo che si fa carne. All’amore di Dio che sceglie, Maria risponde con l’amore che accoglie. Solo in questo incontro sponsale è possibile il compiersi del saluto dell’angelo: Rallégrati! La gioia vera, quella che non ci sarà tolta, è solo nell’incontro sponsale tra l’amore di Dio e l’amore dell’uomo.

Il cuore Immacolato di Maria custodisca le vostre intenzioni, cari don Enrico e don Leonardo, e guidi i vostri passi in questa gioia senza fine.

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