Giornata diocesana per Cresimandi e Cresimati
«Chiamati x Rispondere – La fede si moltiplica»
Parrocchia Santo Stefano di Quartu Sant’Elena, domenica 14 dicembre 2025
Ringrazio ciascuno di voi per essere qui: don Mariano, in rappresentanza di tutto il gruppo che ha organizzato questo incontro; Barbara e gli altri dell’équipe di PG; don Giulio, il parroco che oggi ci accoglie in questa bella chiesa.
Il tema che vorrei condividere con voi è semplice ma decisivo: noi siamo chiamati. C’è “qualcuno” che ci chiama e, quando questo accade, abbiamo solo due possibilità: accettare o rifiutare. Anche il rifiuto, in fondo, è una risposta.
Voi, cari ragazzi, state iniziando a sperimentare la potenza e la bellezza della libertà. Da bambini vi vestivate come volevano i vostri genitori, ascoltavate la loro musica, frequentavate i loro amici. Ora cominciate a scegliere da soli i vestiti, gli amici, la musica, lo sport. Fate una iniziale esperienza di libertà, ma a che serve la libertà se non a rispondere a chi ci chiama?
Vengo da alcuni giorni intensi vissuti in Etiopia, un grande Paese africano esteso quanto tre volte l’Italia, con una popolazione doppia rispetto alla nostra, e in cui l’età media è di 24 anni, tanto che ho fatto fatica a incontrare qualcuno più vecchio di me. Un paese in cui vivono tantissimi ragazzi come voi che progettano il futuro, sognano, pensano.
Ho visto in atto una libertà concreta, fatta di impegno. All’inizio e alla fine della scuola, su strade polverose di altopiani a duemila metri di altezza, bambini e ragazzi camminano anche per ore pur di andare a scuola. Camminano insieme, perché si cammina sempre insieme.
- Attendere e sperare
A cosa ci chiama il Signore? La prima lettura, dal profeta Isaia (35,1-6a.8a.10), parla di un “allora”, un tempo in cui la gioia prenderà il posto della paura e della tristezza. Questa gioia viene annunciata al deserto, alla terra arida, alle steppe, luoghi dove la vita sembra impossibile. La gioia è invece possibile sempre e in ogni condizione. La gioia non dipende dai soldi, dal potere, dai social. Dipende da ciò che portiamo dentro ed è legata all’arrivo di Dio: «Ecco il vostro Dio, Egli viene a salvarvi».
È la gioia che si prova quando arriva una persona molto attesa e molto amata: un genitore, un fratello, una persona cara. È questa attesa che riempie il cuore. Il primo invito del Signore è proprio quello di attenderlo, desiderare la gioia, non rassegnarsi alla tristezza, alle divisioni, alle guerre. Dio ha promesso che verrà, e noi siamo chiamati ad aspettarlo.
Vorrei raccontarvi un episodio accaduto proprio nei giorni che ho trascorso in Etiopia. Da Addis Abeba, la capitale, una città con enormi ricchezze ma anche una povertà impressionante – ho visto persone bere l’acqua delle pozzanghere – mi stavo recando a Wolisso, dove sorge un grande ospedale costruito dalla Chiesa grazie anche al contributo dell’otto per mille. Durante il viaggio ho chiesto a chi mi accompagnava come si chiamasse. Il suo nome era Waiting: “colui che aspetta”. Perché un uomo si chiama così? Perché mentre sua madre lo portava in grembo, il padre partì soldato per una guerra da cui non fece più ritorno. (In Etiopia ci sono guerre terribili, di cui spesso non sappiamo nulla. C’è una guerra che ha già fatto 600.000 morti, come tutti i soldati italiani caduti durante la Prima guerra mondiale, e noi non ne sappiamo nulla). Una madre ha dato a suo figlio il nome “colui che aspetta”. Chi aspetta quest’uomo? Il padre, certo. Ma aspetta anche “altro”, la pace, la gioia, un mondo nuovo, una vita in cui ci si rispetta e non ci si distrugge.
Quel nome racchiude la natura del cristiano, e dice qualcosa di profondo: il cristiano è uno che aspetta. Aspetta che i deserti fioriscano, che ci sia riconciliazione nelle famiglie e tra i popoli, in Ucraina, a Gaza, in Etiopia. Che Dio venga!
Il Signore ci chiama anzitutto a prepararci al suo arrivo, aspettandolo.
Attendere cambia la vita. Se una mamma sa che il papà sta per tornare, prepara la stanza, sceglie gli asciugamani migliori. Chi aspetta vive già in modo diverso.
- I segni
Abbiamo sentito nel Vangelo (Mt 11,2-11) che Giovanni Battista, dal carcere, manda a chiedere a Gesù: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».
Aspettiamo un altro oppure aspettiamo Gesù Cristo, Lui che è venuto non “allora”, quindi in un futuro, ma già adesso? «Sei tu colui che aspettiamo? Sei tu colui che rende la vita più bella, più vera?». E questa è la grande domanda. È il motivo per cui preghiamo: per essere convinti, certi, lieti di questa esperienza.
Ma Gesù cosa fa? Non risponde come al catechismo. È una domanda bellissima, la domanda decisiva della vita: da chi devo aspettarmi la felicità? Oggi la tentazione è quella di aspettarla dal successo, dall’immagine, dai social. Ma è Gesù colui che rende la vita vera, bella, piena? È Lui che aspettiamo? Gesù non risponde con una definizione da catechismo. Indica dei segni da riconoscere guardando e udendo. La fede cresce quando impariamo a riconoscere i segni della presenza di Dio.
Gesù dice: «Riferite a Giovanni ciò che udite e vedete». La fede cresce riconoscendo i segni.
L’intelligenza della fede è l’intelligenza che legge i segni, non che ripete risposte. Le cose più importanti non si vedono direttamente. Nessuno ha mai visto l’elettricità, ma ne riconosciamo il segno nella lampadina accesa. Nessuno ha mai visto l’amore, eppure sappiamo di essere amati perché riceviamo gesti d’affetto e di cura. L’intelligenza non si vede, ma se ne vedono i frutti.
Così è la fede: non una ripetizione mnemonica di risposte, ma saper leggere i segni. E i segni sono questi: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i sordi odono, ai poveri è annunciato il Vangelo. Segni di una vita che cambia.
Il segno che più commuove e convince è il nostro volerci bene. «Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri». Avete sentito San Giacomo (5,7-10)?! Vogliatevi bene, sopportatevi e non giudicatevi (che vergogna giudicare i fratelli!). Vogliatevi bene! Se qualcuno fa fatica a camminare, state accanto a lui; se qualcuno fa fatica a vedere, state accanto a lui; se qualcuno fa fatica a udire, state accanto a lui. Il segno più bello della presenza di Gesù è un popolo che si vuole bene e si prende cura dei più fragili. Per questo la Chiesa costruisce ospedali, scuole, università. In alcuni Paesi muoiono ogni anno migliaia di donne di parto. I cristiani non possono restare fermi.
- Testimoniare.
Gesù dice: «Riferite ciò che avete visto e udito». Il testimone non parla per sentito dire, ma racconta ciò che vive. Ed è qui che è chiamata in gioco la vostra libertà.
Chi deve testimoniare nella vostra classe che Gesù è la gioia? Non don Giulio, non don Mariano ma voi, ognuno di voi è chiamato a dare la propria testimonianza nel mondo, lì dove vive.
Siete credibili solo se parlate di ciò che vivete. Anche dire: “Lo attendo”, è già testimonianza. Raccontare il bene visto e incontrato è la forma più vera dell’annuncio.
Il testimone, come in tribunale, non esprime opinioni ma racconta i fatti. E la gioia più grande è aver incontrato Gesù, che ci chiama ad attenderlo, a riconoscere i segni della sua presenza e a testimoniarlo al mondo.
