
Messaggio di Auguri per il Santo Natale 2025
Cagliari, 24 novembre 2025
Il presepe ci mostra la natura stessa del cristianesimo. A millesettecento anni dal Concilio di Nicea, siamo aiutati anche dalle parole del Papa a tornare all’essenziale, al fondamento del nostro essere cristiani: l’evento di Gesù Cristo. Dio nasce. Lui, inconcepibile, invisibile, eterno, infinito, entra nella storia. Abita una grotta, quella di Betlemme, per incontrare ogni uomo.
Davanti al presepe comprendiamo che la salvezza si incontra. Così l’hanno incontrata i pastori, vedendo il bambino Gesù accanto a Maria e Giuseppe; così l’hanno incontrata i Magi, seguendo la stella: la salvezza è in quel bambino. Il presepe ci aiuta allora a comprendere che il senso del nostro essere cristiani è il rapporto con Gesù Cristo: dentro la storia, nel qui e ora della nostra esistenza, dentro le trame della nostra comunità umana, civile, cristiana ed ecclesiale.
Nel 2026 celebreremo anche l’ottocentesimo anniversario della morte di san Francesco d’Assisi, al quale – in un certo senso – dobbiamo l’invenzione del presepe. Poco prima di morire, Francesco espresse un desiderio preciso: «Vorrei rappresentare il bambino nato a Betlemme e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie». C’è, nella fede, un’esigenza profonda: poter riconoscere Dio dentro le cose della vita, dentro il corpo e la carne della nostra esistenza, nelle persone che incontriamo, nell’inquietudine e nella dolcezza del cuore, nei poveri e nella comunità ecclesiale. C’è un’esigenza del vedere. Il rapporto personale con Cristo lo esige: un uomo per riconoscere Dio, qualcosa di contingente e di preciso per riconoscere il Creatore di ogni cosa.
Il 25 dicembre 1223 Francesco fu raggiante di luce. In quella scena si pone il fieno, si introducono il bue e l’asinello. In quella notte, chiara come il giorno, piena e dolce per uomini e animali, la gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima: un sapore nuovo della vita.
Ce lo racconta Tommaso da Celano: quando sul presepe viene celebrata solennemente l’Eucaristia, Francesco sperimenta una consolazione mai gustata prima. Da una parte l’esigenza di vedere, dall’altra il gusto: il gusto del gaudio, la certezza che la vita non è abbandonata, ma abitata da un Dio-con-noi, che si prende cura di noi, tutela la nostra umanità e ci guida verso le sorgenti della vita.
Auguro a tutti questo gusto mai assaporato prima, e la possibilità di riscoprire il Natale come occasione propizia per un rapporto personale con Dio: occhi che vedono e riconoscono, mente che dialoga con il mistero, cuore che si allieta e ama.
Da questa memoria viva nasce la carità. Ricordiamo le parole di Papa Leone nella «Dilexi te» dedicate ai poveri: non è sufficiente limitarsi a enunciare in modo generale la dottrina dell’incarnazione di Dio. Per entrare davvero in questo mistero bisogna specificare che il Signore si fa carne che ha fame, che ha sete, che è malata, che è carcerata. L’esigenza di Francesco era vedere questa indigenza di Dio che nasce e ha bisogno delle nostre cure. Una Chiesa povera per i poveri comincia dall’andare verso la carne di Cristo.
Il rapporto personale con il Signore è anche la decisione di prendersi cura della sua carne oggi presente nella Chiesa: la carne dei sacramenti, la carne della Parola, la carne dei poveri e di quanti bussano alla nostra porta.
Che questo Natale sia un Natale di gusto nuovo, di gioia rinnovata e di una decisione autentica: vivere un rapporto personale, vero e pieno di valore, con il Signore presente.
