Omelie Vescovo

Omelia del Vescovo per la Messa del Crisma

14 aprile 2022. Messa del Crisma

Basilica di Nostra Signora di Bonaria

 

Eccellenza reverendissima, fratello Mosè,

carissimi fratelli nel sacerdozio,

carissimi tutti,

nel Signore Gesù si compie la grande promessa di un Messia inviato ad annunciare la notizia lieta, a comunicare agli uomini in attesa, poveri, feriti e prigionieri, il dono della liberazione e della misericordia piena (Is 61,1-3.6.8b-9; Lc 4,16-21). È una promessa che si compie nel mistero pasquale. I Vangeli narrano come il Signore Risorto sia apparso ai suoi discepoli, riuniti a porte chiuse, per paura, annunciando e comunicando il suo primo dono: Pace a voi! (Lc 24,36; Gv 20,29). Il Maestro realizza quanto aveva detto nel discorso di addio: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14,27). È la sua pace, non quella del mondo, la pace che vince ogni paura e turbamento, che nasce dalla sconfitta della morte e dal perdono del peccato. È la bellezza e la pienezza della vita, non la semplice tranquillità dell’assenza del conflitto. D’altra parte, cosa realizza la morte in croce di Cristo se non l’abbattimento, nella sua carne, del muro di separazione che ci costringe all’inimicizia, che separa l’uomo da Dio, dagli altri, da se stesso? La riconciliazione che si compie sulla croce tra cielo e terra e tra uomo e uomo, crea la pace e forma l’uomo nuovo (Ef 2,12-18). Per questo mistero professiamo che Cristo Gesù è la nostra pace (Ef. 2,12).

«Grazia a voi e pace da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra» (Ap 1,5). La pace, insegnava Giovanni Crisostomo, «è la madre di tutti i beni, ed è proprio questo il fondamento della gioia». Chiediamo questa gioia fondata sulla riconciliazione.

È importante ripetere queste parole con la consapevolezza della loro portata, del valore che hanno in un momento storico che drammaticamente ripresenta la guerra in Europa, in modalità crudeli, secondo modelli che purtroppo abbiamo conosciuto in altri scenari e in altri tempi: fosse comuni, bombardamenti, stupri, torture… Addolora particolarmente che siano date motivazioni religiose ad una violenza che non può avere altra radice che il peccato. Facendoci voce di quanti soffrono e invocano pietà, della storia tutta, che geme e soffre come per le doglie del parto in attesa della liberazione, noi invochiamo la pace e la riconciliazione, la giustizia nel rispetto della dignità degli uomini e dei popoli, nella verità e nell’amore.

Molte volte nel rito della Santa Messa è menzionata la pace: dono invocato, auspicato, comunicato e scambiato. Il Vescovo nel saluto iniziale, ad esempio, e nell’invocazione Agnello di Dio che accompagna la frazione del pane, che termina con le parole: dona a noi la pace. Tra i riti di comunione, in particolare, dopo la recita dell’embolismo segue il rito della pace, che sembra congiungere il Padre nostro, con la richiesta di rimettere a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e la comunione con il corpo di Cristo, che esige la rimozione del rancore, anzi la riconciliazione con il fratello.

Le parole del sacerdote: La pace del Signore sia sempre con voi, anche in questo momento, non sono un semplice invito o un’esortazione, ma la proclamazione del dono pasquale, che egli fa in nome del Signore, come sottolinea Giovanni Crisostomo: «È Cristo che si degna di rivolgervi la parola attraverso di me». Alludendo alla risposta del popolo: E con il tuo spirito, Gregorio di Nazianzo esclamava: «Oh, pace amata, dolce realtà e dolce nome, che io proprio ora ho donato al popolo e ho ricevuto in cambio». Nella celebrazione eucaristica, noi sacerdoti doniamo e riceviamo la pace del Risorto. Lo stesso Padre della Chiesa, però, esortava a ripetere queste parole in modo sincero e degno dello Spirito, e non per convenzione sociale o rituale «di cui Dio rifiuta di essere testimone». L’invito dei Padri è di esprimere con le parole e i gesti del corpo la posizione del cuore, che non si allontana dal cuore degli altri fratelli, che perdona e ama, che accoglie. Sempre Gregorio di Nazianzo, commentando questo rito, scrive: «È assurdo che, mentre sappiamo che agli operatori di pace è riservata una grande beatitudine, al punto che essi sono i soli nell’ordine dei salvati a esser chiamati figli di Dio, noi però amiamo l’inimicizia, e per giunta siamo convinti di agire in modo gradito a Dio, lui che ha sofferto per noi per stabilirci nella pace con lui e distruggere la guerra che è tra noi». L’amicizia, e non il suo contrario, è gradita a Dio. L’invito e lo scambio della pace, certo, non eliminano in modo automatico i segni dolorosi della storia e le divisioni, ma costituiscono una profezia da accogliere con serietà e da vivere con sincerità di cuore, almeno nel desiderio.

Come dice l’Ordinamento generale del Messale Romano con il rito della pace «la Chiesa implora la pace e l’unità per se stessa e per l’intera famiglia umana, e i fedeli esprimono la comunione ecclesiale e l’amore vicendevole, prima di comunicare al Sacramento» (82). È un atto di preghiera e di carità. Con lo scambio della pace, inoltre, i fedeli «si manifestano reciprocamente pace, comunione e carità» (Id., 154). La pace è compagna della comunione vicendevole e della carità. Come insegna un antico commento alla liturgia: «Come il pane del corpo di Cristo viene portato a costituire un’unità a partire da molti chicchi, e quel vino da molti acini di un grappolo viene portato a costituire un’unica bevanda, così il Signore ha voluto che anche coloro che sono in relazione con lui stiano nell’unica compagnia della pace e nell’unità della fede, e ha consacrato questo mistero di amore e di unità proprio sulla sua mensa».

Come ministri dell’eucaristia non possiamo non riflettere sull’importanza del nostro compito, sulla sua grandezza e bellezza. Annunciamo e doniamo la pace! E come Cristo ha mostrato sulle mani e i piedi i segni della crocifissione, così dobbiamo fondare la credibilità del nostro annuncio mostrando in noi i segni della pace: una vita bella e piena, la comunione fraterna e la carità, la concordia e il perdono. Siamo credibili se mostriamo in noi la pace che annunciamo. In forza di questo possiamo educare le nostre comunità ad essere fermento di pace nel mondo (Andate in pace), nelle relazioni personali, nelle famiglie, nelle nostre città e nel mondo interno. Il popolo cristiano sia riconoscibile anche per questo, per il suo operare a favore della pace, della comunione e della carità, dell’amicizia personale e sociale. La nostra concordia è profezia e strumento del rinnovamento del mondo intero.

Cari fratelli, viviamo la gioia del Risorto, custodiamo come dono prezioso la sua pace, educhiamo il nostro popolo al gusto della costruzione di esperienze di riconciliazione dentro la storia, perché tutta la Chiesa sia degna del mandato del Signore a far scendere la pace in ogni casa, in ogni consesso umano, nella verità, giustizia e nell’amore (Lc 10,5). Allora saremo davvero beati (Mt 5,9).

«E noi, o carissimi, ai quali Cristo ha lasciato la pace e dà la sua pace, non come la dà il mondo, ma come la dà lui per mezzo del quale il mondo è stato fatto, se vogliamo essere concordi, uniamo insieme i cuori e, formando un cuor solo, eleviamolo in alto affinché non si corrompa sulla terra» (Sant’Agostino).

 

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