Omelie Vescovo

Venerdì santo. Omelia dell’Arcivescovo

Cattedrale di Cagliari, 10 aprile 2020

È compiuto. In croce, sospeso tra cielo e terra, per un momento “abbandonato” da Dio e rifiutato dagli uomini, Gesù compie la sua missione. Le braccia sono stese tra i due “ladroni”, quello che prega e l’altro che insulta, come a voler abbracciare tutti gli uomini sulla terra. Tutto si compie in una obbedienza d’amore talmente perfetta da risultare più forte della morte.

Sotto la croce, un piccolo gruppo di persone conserva pietà per il condannato. In quel momento di buio, tra la cattiveria di alcuni, la derisione degli altri e l’indifferenza dei più, quel gruppo sotto la croce custodisce il senso delle cose, il senso dell’umano, della pietà, del pianto, dell’amore. Sono le uniche presenze che danno senso a un mondo altrimenti incomprensibile, quasi impazzito.

Al centro del gruppo c’è Maria, la Madre. Adesso conosce il dolore della spada profetizzato dal vecchio Simeone nel tempio: «e anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,35). Adesso che anche l’anima di Maria è trafitta, tutto può davvero compiersi. Si compie anche per lei la parabola iniziata con il detto a Nazaret: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Sotto la croce, Maria diviene conforme alla Parola. Continua a dire il suo eccomi lasciando accadere la Parola di Dio, non opponendosi agli avvenimenti, comprendendoli nella sua accettazione libera, senza peccato, nel senza condizioni e senza misure. Maria semplicemente lascia che la Parola di Dio accada e compia ciò per cui è diventata carne. E così diventa nostra madre: la sua anima trafitta si dilata a comprendere tutti noi, ciascuno di noi. «Donna, ecco tuo figlio!» (Gv 19,26). Gesù Cristo dalla croce ci guarda e continua ad affidarci a sua Madre.

Quando gli uomini posero la grande pietra all’ingresso del sepolcro, pensarono che tutto così poteva considerarsi compiuto, tutto finito. E invece il Figlio di Dio continuava la sua discesa raggiungendo le profondità dei nostri inferni per incontrare noi, ciascun uomo in attesa e restituire a tutti la vita senza fine. No, non era finita: il Verbo di Dio continuava a camminare verso l’uomo, e sulla terra la Madre attendeva fiduciosa.

Luca testimonia che Maria custodiva nel suo cuore tutto ciò che si riferiva al Figlio (cf. Lc 2,51). Adesso che quel cuore è stato trafitto, Maria è tutta memoria, custodisce tutto ciò che riguarda il Figlio, è pura memoria dell’opera di Dio. Una memoria credente (lei è la beata che «ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto»: Lc 1,45) e per questo è una memoria che attende fiduciosa il compimento della promessa. Nel grande silenzio che consegue alle ultime luci di quel venerdì, Maria, sola, custodisce la memoria di Dio e attende fiduciosa il compimento della sua promessa di vita e salvezza. Ricorda, attende, crede. È per questo che ci rivolgiamo a lei, al suo abbraccio di madre, al suo cuore trafitto e dilatato, perché ci insegni questa memoria e questa attesa.

A lei consegniamo noi stessi, affidiamo i nostri cari, i tanti morti di questi giorni, le storie delle persone decedute nella solitudine, senza il conforto e le lacrime dei parenti; a lei affidiamo le immagini più dure, come quelle dei camion militari che trasportano le salme dei defunti o delle fosse comuni scavate nel cuore finanziario del mondo. E poi affidiamo le guerre in tanti parti del mondo, la sofferenza dei bambini, la persecuzione dei cristiani, e tutte le croci che attendono il giorno della risurrezione. Questo mondo domanda una salvezza, gli uomini gridano il bisogno di una salvezza, di una risurrezione, di una giustizia eterna e di una vita definitiva. Il mondo attende una salvezza che può raggiungerci solo nel grembo di una Madre.

L’abbraccio di Maria, la comunione della Chiesa.

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