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Omelia del Vescovo per la festa di san Saturnino

chiesa san saturninoOmelia dell’Arcivescovo, Arrigo Miglio, pronunciata in occasione della festa di san Saturnino, patrono della città di Cagliari

Venerdì 30 ottobre 2015

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La città di Cagliari da molti secoli si raccoglie in questo luogo e in questa data per fare memoria del Martire cristiano San Saturnino: un martire giovane, che nella sua vita non ha avuto il tempo di compiere azioni da scrivere nei libri di storia, né ci ha lasciato opere letterarie o poetiche. Ha professato pubblicamente la sua fede in Cristo, e quello è stato il momento culminante e anche conclusivo della sua giovane vita. Un martire locale, venerato principalmente qui nella sua città, anche se non sconosciuto nel resto dell’Isola e nella Chiesa, che con la sua professione di fede ha inciso profondamente nella coscienza di quanti ne hanno conservato memoria e nella vita della sua città

Questo luogo, fuori dal centro della Cagliari degli inizi del IV secolo, dove i cristiani hanno portato a sepoltura il corpo del Martire, è stato da subito luogo di preghiera e di pellegrinaggio, ma è stato valorizzato in modo particolare dal vescovo africano San Fulgenzio di Ruspe, qui esiliato assieme ad un gran numero di altri vescovi e di fedeli cristiani, che proprio qui ha voluto costruire chiesa e monastero, un complesso che attraverso i secoli e varie trasformazioni è giunto fino a noi. Anche Fulgenzio con i suoi compagni di esilio, per almeno due volte, ha attraversato il Mediterraneo forzatamente, da profugo, ma ha reso fecondo il suo soggiorno in questo luogo, da vero Padre della Chiesa, come giustamente è riconosciuto dalla storia.

Siamo dunque in uno dei luoghi dove troviamo le radici della nostra città, radici cristiane che hanno contribuito in modo determinante ed armonioso, unitamente alle culture precedenti e a quelle che si sono succedute, a formare la fisionomia della città che noi oggi abbiamo la gioia di abitare, assieme alla responsabilità di contribuire al suo sviluppo e alla fisionomia che potrà avere in un futuro prossimo e in quello più lontano. Come non tenerne conto!

La comunità cristiana è chiamata ad amare la città e ben sappiamo che amare non significa dire sempre parole comode e accomodanti. Ce lo ha ricordato la parola del Vangelo, ne abbiamo un esempio quotidiano nel magistero di Papa Francesco, che apre il cuore a tutti, che non vuole escludere nessuno dall’incontro con il Signore Gesù, ma la via che indica è sempre quella della porta stretta di cui parla il Vangelo, la via della conversione continua, a cominciare giustamente da quanti ci riteniamo già “entrati”, che non significa esonerati da una conversione ancora più profonda. Anche il Martire San Saturnino ha amato la sua e nostra città quando non ha esitato ad essere critico nei confronti di una cultura che stava già mostrando ampie crepe ed era tutta tesa unicamente a tenere in piedi un sistema sempre più pesante e fine a se stesso, incapace di offrire speranza e prospettive di futuro.

Come cristiani dunque siamo chiamati ad essere partecipi, a contribuire alla ricerca e alla realizzazione quotidiana del bene comune, sapendo che la carità non è completa se non si mette a servizio anche del vivere sociale, oltre che delle povertà dei singoli, e se non lavora per eliminare le cause della diverse povertà, oltre che naturalmente curare le ferite che hanno bisogno di interventi immediati.

Una carità autentica è dunque il primo contributo fondamentale che la comunità cristiana può e deve offrire alla vita della società civile. Ma la carità per noi non ha altra sorgente che nella Santa Eucaristia: per questo le nostre chiese sono importanti, non solo come luoghi d’arte e di storia, ma principalmente come luoghi dove cresce la comunione tra di noi. Se sono aperte ed accessibili, possono favorire quell’osmosi tra vita religiosa e vita civile, che ha portato sempre buoni frutti, che non maturano invece quando i due mondi sono separati, a volte per colpa dell’uno o dell’altro. Laicità vuol dire anche pluralismo, confronto, dialogo, parole che segnano la via maestra per la crescita di una città veramente inclusiva ed accogliente. Pluralismo, confronto e dialogo: vale per vivere bene i luoghi più significativi della nostra città, vale per i luoghi dove si lavora per educare (oratori, scuole pubbliche statali e pubbliche paritarie), vale per la ricerca delle vie migliori che aprano al futuro e alla speranza. Il pesante calo demografico della nostra regione ha le sue cause ma ha ed avrà le sue pesanti ricadute, per i vuoti che si creano e per i pesi sociali che si aggravano. La via è una sola: incoraggiare in tutti i modi la famiglia (senza negare rispetto e diritti per chi sceglie altre strade).

Cagliari e la Sardegna accoglieranno e conosceranno ancora altri popoli e altre culture, come avviene da millenni, ma non rinunciamo a coltivare per le nuove generazioni quanto di bello abbiamo, dono di chi ci ha preceduti e opera del nostro lavoro di oggi. La fede dei nostri martiri ci apre all’orizzonte della vita nuova che il Signore Gesù Risorto ci dona: in questa luce possiamo meglio comprendere che nessun gesto di buona volontà va perduto e che la vittoria duratura è quella del bene e dell’amore. Vale dunque la pena di non smettere mai di impegnarci.

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